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Foto profilo con arcobaleno? Così Facebook ci studia

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

26 milioni di persone hanno usato il filtro arcobaleno per cambiare l’immagine del profilo

Un’ondata sincera di entusiasmo e supporto a favore del diritto delle coppie omosessuali di sposarsi, o un abile esperimento sociale, in cui milioni di persone si sono prestate, in buona fede, a fare la parte delle cavie di laboratorio? Quando 26 milioni di persone adoperano uno strumento per colorare di arcobaleno la foto del profilo Facebook, la domanda inevitabilmente si pone. Tanto più se si tiene conto che è stato sviluppato dagli ingegneri del social network, e che il sito già in passato ha fatto discutere, per il modo in cui studiava le reazioni emotive degli utenti a seconda del tipo di post che veniva loro presentato. 




Un portavoce di Facebook ha provato a rassicurare gli iscritti: l’arcobaleno sarebbe nato nel corso di hackaton (una gara di programmazione) interno all’azienda, e sarebbe piaciuto tanto da decidere di proporlo a un pubblico più vasto. Senza secondi fini, però. Che sia vero o meno – e non c’è motivo di dubitarne - la sostanza delle cose non cambia però di molto. Magari Facebook non avrà avuto intenzione, a priori, di sfruttare la cosa, ma riesce davvero difficile credere che possa resistere alla tentazione di analizzare a posteriori i dati prodotti. Anche perché, come ricorda il magazine The Atlantic, sarebbe la logica continuazione di quanto fatto in un passato nemmeno troppo remoto. 



 

Nel marzo di quest’anno, due ricercatori di Facebook, Bogdan State e Lada Adamic hanno pubblicato i risultati di uno studio da loro effettuato su come il sostegno verso argomenti “sensibili” si possa espandere all’interno della rete sociale. A fornire lo spunto, al tempo, era stata un’iniziativa del marzo 2013, anch’essa in supporto della possibilità di sposarsi fra persone dello stesso sesso. In quel caso, 3 milioni avevano sostituito la foto del profilo con il simbolo grafico per “uguale”. La scoperta più interessante di State e Adamic non riguardava tanto il numero di sostenitori, quanto il fatto che più un iscritto a Facebook vedeva crescere il numero di amici che avevano effettuato il cambio di simbolo, più era portato a fare lo stesso. 



 

E in maniera diversa da quanto avviene con le foto virali di gattini e simili. Lì, a una vasta imitazione nel breve periodo, corrisponde un altrettanto rapido sgonfiarsi del fenomeno. Qui, invece, forse perché si tratta di temi più delicati, le persone si prendevano il loro tempo per decidere, ma il sostegno cresceva lento e sicuro nel tempo, via via che sempre più persone, incoraggiate dall’esempio degli amici, decidevano di schierarsi. 

Di scelta meditata appunto si tratta, e questo contribuisce a fugare uno dei principali dubbi che da sempre circonda l’attivismo online: che si tratti invece di un modo comodo per illudersi di contribuire a un cambiamento, quando invece tutto ciò che si fa è pigiare un bottone, comodamente sdraiati sul divano. Alcuni studiosi chiamano questo tipo di approccio “slacktivism”. 


Ma per temi controversi come il matrimonio tra persone dello stesso sesso, anche semplicemente colorare di arcobaleno il proprio profilo, può avere degli effetti concreti, causare tensioni con familiari, amici e colleghi, e richiede perciò una certa dose di coraggio. Ecco così che diventa più facile schierarsi quando si è certi che sono in molti a farlo. L’altra faccia della medaglia, è che chi invece è su posizioni opposte, contrarie al cambiamento, adotti una sorta di auto-censura e si tenga sotto traccia, per evitare quello che percepisce come una forma di biasimo collettivo. 




In entrambi i casi, lungi dall’essere un semplice giochino, il tool arcobaleno di Facebook dispiega i suoi effetti su una vasta gamma di comportamenti concreti. L’avevano immaginato, gli ingegneri di Facebook che avrebbe offerto così tanti dati interessanti da analizzare? Probabile. Si rendono conto gli utenti, che, mentre credono di esercitare coraggiosamente una forma di libero arbitrio, forniscono al contempo informazioni preziose a chi le masse, un domani potrebbe volerle indirizzare con una mano invisibile?

Chissà. Può darsi di no, o può anche essere che se rendano conto, sì, ma che non gliene importi. Come ha scritto una dottoranda in scienza delle comunicazioni dell’Illinois, Stacy Biasola, al momento di cambiare il profilo, “questo è uno di quegli studi di Facebook a cui voglio partecipare!”.  (Federico Guerrini -  La Stampa)

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