religione

Vocazioni, dal Sud quasi la metà dei seminaristi d’Italia

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Sono 1.091 gli studenti in formazione nel Mezzogiorno, che corrisponde a circa la metà del totale (44,7 per cento) includendo Sicilia e Sardegna

Il Mezzogiorno contribuisce alla formazione di circa la metà dei seminaristi in Italia (44,7 per cento) includendo le due Isole, che da sole partecipano con il 13,3 per cento degli studenti. A livello nazionale, dunque, il Sud si pone numericamente al primo posto come forza di rinnovamento del clero.



Devozione popolare e turismo
. “La situazione favorevole che viviamo in Puglia, dal punto di vista vocazionale e pastorale, richiede da parte nostra maggiore attenzione e lucidità perché non diventi un ritardo nell’assunzione dei cambiamenti che sono in atto e che riguardano sempre di più anche noi”. Don Giovanni Caliandro, rettore del Pontificio Seminario Regionale di Molfetta, non nasconde la responsabilità a cui è chiamata la Chiesa di Puglia nella formazione di un grande numero di seminaristi (226 al 2014). La vicinanza alla gente, che “ancora sa nutrire stima per i suoi preti, deve aiutarci a educare sacerdoti che facciano la scelta della formazione, non solo dell’aggregazione”.



Le tante forme di devozione popolare rappresentano un banco di prova per i giovani sacerdoti, e la vocazione turistica della Regione sta aprendo “spazi pastorali inediti che richiedono preti sensibili ai temi della cultura e dell’ambiente, della salvaguardia del creato, capaci di far diventare l’arte occasione di catechesi e di evangelizzazione”. Del resto, aggiunge il rettore, “noi veniamo in Puglia da una tradizione di preti che negli anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso hanno mostrato una straordinaria creatività nel campo socio-educativo, che ora si trova di fronte a sfide nuove. Ecco, direi che la Puglia ha bisogno di preti che si lascino interpellare da ciò che succede attorno a loro, imparando a farne una lettura che nasce dalla fede e dal Vangelo”. I 227 ragazzi che oggi popolano il Seminario di Molfetta riproducono “tale e quale la complessità del mondo giovanile”.

Aumenta sempre di più, ad esempio, “il numero di persone che provengono da storie familiari ferite, da genitori separati, e ciò pone la necessità di lavorare con applicazione alla maturazione affettiva dei seminaristi, che devono essere aiutati ad elaborare queste sofferenze per evitare che poi agiscano inconsapevolmente nello svolgimento del loro ministero”.




Formazione per tutta la vita. Il criterio guida nella selezione dei candidati al sacerdozio deve essere “la maturità e l’equilibrio affettivo, cercando di monitorare il modo concreto di relazionarsi dentro e fuori la comunità”. È la regola che orienta il lavoro dell’équipe di educatori al Seminario Maggiore Interdiocesano di Basilicata, retto da don Filippo Nicolò. A Potenza vivono 33 seminaristi, tra i venti e i trent’anni di età, in linea con gli ultimi due lustri (erano 34 nel 2014): “La preoccupazione per i numeri, però, non condiziona minimamente il lavoro formativo”. La terra lucana, con poco più di mezzo milione di abitanti e neanche trecento parrocchie, ha bisogno di “un prete capace di coinvolgersi nelle vicende delle persone a cui sarà inviato come guida ed educatore nella fede, attento a vivere una spiritualità della incarnazione e della missione”.





La fase del seminario, osserva don Nicolò, è soltanto il “primo avvio di un processo che deve durare per tutta la vita”:

“Per questo cerchiamo di iniziare i candidati alla vita di seminario insistendo sull’importanza della formazione permanente”.

L’accento è posto sulla equazione tra formazione e conversione, perché “l’obiettivo è quello di avviare processi che devono attraversare tutte le stagioni della vita e della missione del prete. La formazione al presbiterato è anche formazione nel presbiterato”. Al momento il Seminario propone una traccia formativa che aiuta a declinare praticamente alcuni aspetti della formazione, muovendo da testi biblici riconsiderati nei ritiri mensili e nella lectio divina settimanale.



Ferite familiari. Voluto e finanziato da san Pio X, al cui nome si intitola, il Pontificio Seminario Teologico Regionale di Catanzaro ospita 60 giovani e 15 al propedeutico. Molti di loro sono entrati dopo la maturità, diversi hanno già conseguito una laurea e alcuni hanno lasciato attività lavorative consolidate: “I cambiamenti si vedono man mano che la vita spirituale diventa un modus vivendi: allora acquistano docilità, slancio pastorale, desiderio di donazione a servizio dei fratelli”, racconta il rettore monsignor Vincenzo Rocco Scaturchio. I formatori si confrontano regolarmente con “la fragilità umana dovuta a numerose ferite che alcuni si trascinano dalle famiglie”. Diventa impegnativa, così, anche l’educazione a “un uso sobrio e maturo dei mezzi di comunicazione, dal cellulare ai social network”.



Il Seminario, prosegue mons. Scaturchio, è un “segmento di formazione” che ha un “prima” – famiglia, parrocchia, gruppi e associazioni di provenienza, società – che già forma l’aspetto umano, e un “dopo” che continua nell’attività pastorale e nel servizio in diocesi.

La preoccupazione principale è che la vocazione “non sia un surrogato o un rifugio”.

A Catanzaro manca ancora il VI anno, ma l’intenzione è di istituirlo già a settembre. I seminaristi, intanto, continuano ad aumentare: se vent’anni fa il totale si aggirava sugli 80, nel 2010 erano appena 42. Da quel momento è iniziata la risalita. Al 2014, la Calabria conta 137 alunni.



Educazione ignaziana
. Affidato alla Provincia d’Italia della Compagnia di Gesù, perché i seminaristi siano formati alla spiritualità del presbitero diocesano secondo la pedagogia ignaziana, il Pontificio Seminario Interregionale Campano ha l’ambizione di rafforzare negli 84 studenti che lo popolano “la passione evangelizzatrice e missionaria, superando la ritrosia a cimentarsi con la complessità dei dinamismi sociali e la tentazione del ripiegamento intra-ecclesiale”. La sfida che la Chiesa campana (315 seminaristi) è chiamata ad affrontare non spaventa il rettore, padre Francesco Beneduce: “Nella nostra Regione permane una considerazione positiva per la Chiesa e di apprezzamento per il servizio del prete. Si registra anche una buona situazione della pratica e della pastorale sacramentale, ed è significativo il dato dei giovani che si avvalgono dell’Insegnamento della religione cattolica. Una risorsa non trascurabile, infine, è la religiosità popolare”.



La storia del Seminario di Posillipo, temporaneamente trasferito a Cappella Cangiani, è singolare. Poco più di un secolo fa un gran numero di vescovi campani, alla luce della lunga tradizione dei gesuiti nella direzione di seminari, chiesero a san Pio X che proprio i religiosi della Compagnia di Gesù formassero i giovani della Regione che si preparavano al sacerdozio. Oggi il Seminario accoglie studenti dal resto dello stivale e vede l’interazione tra padri gesuiti e presbiteri diocesani, che hanno ricevuto il mandato da 14 vescovi della Campania: “La collaborazione tra diverse Chiese locali e tra esse e la Compagnia di Gesù – osserva p. Beneduce – è un valore aggiunto e ha una portata simbolica importante a livello ecclesiale”. Da inizio millennio, il numero dei seminaristi è oscillato tra 80 e 100. Per la maggioranza sotto i trent’anni, tra di loro c’è anche un adulto cinquantaseienne che è vedovo, papà e nonno:

“Il tema della vocazione, del ‘progetto di vita’, non è più legato alla sola fase della giovinezza. Ciò comporta che la chiamata la si possa sentire anche in altre stagioni della propria esistenza”.



Decisiva, pertanto, è la fase del discernimento: “L’apprensione per i numeri non va sottovalutata, ma consegnata nelle mani di Dio. Molto impegno, invece, deve essere profuso nel verificare l’idoneità di una persona al ministero”. All’occorrenza, generalmente al termine del primo biennio, sono previste esperienze complementari con uno “stage formativo fuori dal seminario” in una comunità apostolica di gesuiti e più recentemente in una piccola comunità di presbiteri della diocesi di Pozzuoli. In questa linea, è nata tre anni fa una cosiddetta “sesta comunità”, composta da un numero ristretto di seminaristi, sovente quelli più grandi, che condividono in parte il percorso formativo con le comunità d’anno.



Più sensibilità dai giovani rispetto al passato
. “Una buona parte delle diocesi abruzzesi e molisane è costituita da parrocchie di paese, a volte anche molto piccole, con pochi abitanti, dislocate in montagna o in alta collina. Si richiede, pertanto, una struttura umana solida, capace di far fronte a situazioni umane e pastorali un po’ difficili, contraddistinte da solitudine e disagi di vario tipo, con una forte presenza di religiosità popolare e un bisogno diffuso di nuova evangelizzazione”. È il profilo del sacerdote che viene formato nel Pontificio Seminario Regionale “San Pio X” di Chieti, retto da monsignor Gino Cilli. Dal 2000 a oggi, gli alunni che hanno frequentato la struttura che ha oltre cento anni di vita sono variati tra i 70 e i 50. Il gruppo di 54 studenti che attualmente compongono la comunità, spiega mons. Cilli, “non manca di interesse e cura per la vita spirituale, di partecipazione attiva e consapevole alla formazione intellettuale e di coinvolgimento nell’agire pastorale della Chiesa, come anche nelle varie attività pastorali intraprese”.



Non è possibile generalizzare ma, osserva il rettore, “sicuramente la sensibilità e l’impegno degli alunni di oggi sono decisamente migliori rispetto a quelli del recente passato, anche grazie alla maggiore attenzione posta nel discernimento e nella formazione umana”.

E a proposito di formazione, precisa mons. Cilli, quella permanente “costituisce la prosecuzione della formazione del Seminario e consiste in un continuo lavoro su se stessi, sulla propria spiritualità ministeriale e sulla continua scoperta della propria identità in questo mondo in evoluzione”. Oltre al lavoro dei Centri diocesani vocazioni, il Seminario organizza campi scuola, incontri per il discernimento e proposte personalizzate. Un cammino previo di discernimento è quello chiamato “Tu seguimi”, al quale partecipano i giovani presentati dalle diocesi. Il percorso prevede cinque tappe, da gennaio a maggio, per illustrare le tematiche inerenti la vocazione in genere e quella al ministero ordinato in particolare. La seconda fase è costituita dalla vita nella comunità propedeutica, della durata di un anno: “Il percorso di discernimento prevede una forte esperienza spirituale e diverse attività educative – spiega mons. Cilli -, che stimolano il candidato a fare un lavoro di introspezione su se stesso per conoscere la volontà di Dio nella propria vita”. (Riccardo Benotti - Agensir)

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