religione

Una chiesa “corpo a corpo”

Alessio Antonielli
Pubblicato il 13-03-2018

Ci dà appuntamento a una pompa di benzina Monsignor Gustavo Oscar Carrara, 45 anni, uno degli ultimi Vescovi argentini fatti da Papa Bergoglio, senza tante formalità: camicia larga, colletto bianco, i pantaloni che mostrano i segni del lavoro, le scarpe rotte e una croce di legno al petto che ci ricorda che è un Vescovo della Santa romana Chiesa. Il Vescovo delle periferie – così lo chiamano – si carica sulle spalle la pesante borsa del nostro cameramen e ci accompagna lungo la strada principale per entrare dentro la Villa miseria 1-11-14 che ospita 45.000 poveri cristi. Le favelas argentine, per capirci, ognuna ha un numero e un presidio della polizia all’ingresso. “Mettete dentro le macchine fotografiche e fate le foto solo quando ve lo dico, è più sicuro”, si raccomanda.

Agli angoli gli spacciatori di paco, una nuova droga che crea una forte dipendenza e sta distruggendo le nuove generazioni argentine, 80 centesimi per una dose. Dei materassi gettati a terra, una bottiglia in plastica di Coca Cola piena di vino e due ragazzi ubriachi che dormono, sono le 11 di mattina. Così ci accoglie questa Villa miseria dove Monsignor Carrara ci permette di entrare: è il nostro lasciapassare. Il 60% della popolazione qui ha sotto i 25 anni, le facce scavate di quelli che incontriamo si distendono quando lo vedono passare, è uno di loro, si fidano, nato e cresciuto anche lui in una Villa, quando è stato ordinato vescovo il 16 dicembre 2017 la cattedrale di Buenos Aires era stracolma di poveri, dei suoi poveri e un pupazzo di papa Francesco alto tre metri lo guardava dal fondo della chiesa: “Oggi c’è anche il Papa” gli urlavano. E lui in cambio ha scelto questo motto “Condividere con i poveri la gioia del Vangelo”.

Entriamo nella chiesa, se così si può chiamare. Santa Maria del Popolo è il piano terra di un edificio con tavelle rosse faccia vista, non intonacato, “Scusate il disagio ma stiamo pitturando l’interno – ci dice –. Qui sopra sto costruendo delle aule per far studiare i giovani e toglierli dalla strada, mentre nell’edificio affianco abbiamo una radio che trasmette in tutta la città”. Uscendo vediamo che un’antenna di 20/30 metri sostituisce la croce della chiesa. Quando gli domandiamo dove ha trovato i soldi si mette a ridere “quando vado in città quelli che mi conoscono si mettono sempre le mani nelle tasche perché sanno già che gli sto chiedendo qualcosa”. La radio no invece, per quella non ha avuto bisogno di questuare, gliel’ha regalata papa Francesco, così che la sua voce può arrivare in tutte le Villas.

“Ricevere la vità così come si presenta” è questo uno dei due insegnamenti che ha ricevuto dal Papa quando era il Cardinale di Buenos Aires. Questo significa che è la struttura che si adatta alla vita e non la vita alla struttura. Così Mons. Carrara da 9 anni sta adattando la sua parrocchia, il suo vescovato, a scuola, a mensa, a radio, a casa di accoglienza e non viceversa, non cerca di adattare le persone alla chiesa. Parte però da un punto fermo “qui abbiamo un principio ferreo: quelli che dormono da noi devono manifestare il desiderio di farsi aiutare, la nostra è una famiglia, non un luogo dove facciamo assistenzialismo”.

“Accompagnamo la gente corpo a corpo, questo mi ha insegnato papa Francesco quando ci veniva a trovare da Cardinale”. È il secondo grande insegnamento che gli ha lasciato ci racconta. E così inizia a parlarci del Papa, di come si prendeva cura dei suoi sacerdoti di frontiera, quando ha iniziato erano solo in 8 nella parrocchia poi sono arrivati a 20. L’ultimo giovedì santo, prima di partire per il conclave, Francesco l’ha passato con loro, con i poveri. “Negli ultimi anni mi ha regalato diversi libri della sua biblioteca, – continua il Monsignore – mi diceva che si stava preparando a lasciare agli altri per incontrare Dio”.

Usciamo, le strade sono di terra, piene di buche e di fango, chi se lo può permettere ha le inferriate alle porte, alcuni ragazzi con il vino in mano ci chiamano da lontano, uno di loro ha solo una gamba e sicuramente non può lavorare, noi proseguiamo. Quello che ci colpisce non è la povertà, ma la disperazione che gli leggiamo negli occhi.

Ci accompagna fin sul tetto della casa parrocchiale, vuole farci vedere tutta la Villa, un ammasso di case una sopra l’altra in un cantiere a cielo aperto. Sotto di noi il campetto da calcio con i murales di papa Francesco, della Nostra Signora di Luján, patrona dell’Argentina, e di un Cristo umano, pensieroso, preoccupato per i propri figli.

Quando ce ne andiamo una ragazza lo avvicina, è ubriaca, puzza di vino, lui la saluta, lei lo abbraccia, si scambiano due parole, lo abbraccia nuovamente, riceve una carezza dal suo Vescovo e se ne va. “Accompagnare l’altro corpo a corpo”, ci ha detto poco prima e forse solo ora lo comprendiamo veramente: senza giudicare, senza moralizzare, ma stando accanto, vicino, prossimo all’altro, con uno sguardo materno che ti comprende, sempre, che non ti fa sentire solo. Corpo a corpo appunto in un dolce e caldo abbraccio, l’abbraccio della chiesa di popolo.


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