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Papa, condanna teoria Gender: è pura cattiveria. Gesù accoglierebbe omosessuali e trans

Redazione online ANSA / AFP PHOTO/ POOL / TIZIANA FABI
Pubblicato il 30-11--0001

Bisogna «accogliere e accompagnare» omosessuali e trans, «questo è quello che farebbe Gesù oggi»

Bisogna «accogliere e accompagnare» omosessuali e trans, «questo è quello che farebbe Gesù oggi», dice Francesco. Il Papa ha condannato la teoria gender, ma le persone sono un’altra cosa. Spiega di avere accompagnato, da Papa, persone «con tendenze e anche pratiche omosessuali». Poi racconta la storia di una ragazza divenuta uomo e lo fa sempre al maschile, dice: «Lui che era lei ma è lui». Sorride: «Adesso però non dite che santificherò i trans, eh? Già mi vedo le prime pagine...». Si vola sul Mar Caspio verso Roma. Bergoglio raggiunge i giornalisti ed esordisce tranquillo: «Sono a vostra disposizione, domandate quello che volete». Risponde per 51 minuti.

Santità, in Georgia ha detto che la teoria gender «è un grande nemico del matrimonio», parlato di «guerra mondiale». Cosa direbbe a chi sente che il suo aspetto non corrisponde alla propria identità sessuale? 
«Nella mia vita di sacerdote, di vescovo e anche di Papa io ho accompagnato persone con tendenze e anche pratiche omosessuali, li ho avvicinati al Signore e mai li ho abbandonati. Le persone si devono accompagnare come fa Gesù. Quando una persona che ha questa condizione arriva davanti a Gesù, Lui sicuramente non dirà: vattene via perché sei omosessuale. No. Io ho parlato di quella cattiveria che oggi si fa con l’indottrinamento della teoria gender. Un papà francese mi raccontava del figlio di dieci anni, alla domanda “cosa vuoi fare da grande” ha risposto: la ragazza! Il padre si è accorto che nei libri di scuola si insegnava la teoria gender, e questo è contro le cose naturali. Una cosa è una persona che ha questa tendenza, o anche che cambia sesso. Un’altra è fare insegnamenti nelle scuole su questa linea, per cambiare la mentalità: lo chiamo colonizzazione ideologica».

Come accompagnare? 
«L’anno scorso ho ricevuto la lettera di uno spagnolo che mi raccontava la sua storia da bambino e da ragazzo. Era una bambina e una ragazza, e ha sofferto tanto perché lui si sentiva un ragazzo ma era fisicamente una ragazza. Ha raccontato alla mamma che avrebbe voluto operarsi e lei gli ha chiesto di non farlo finché era viva. Era anziana, è morta, si è fatto l’intervento. È andato dal vescovo che lo ha accompagnato tanto, era un bravo vescovo. Poi ha cambiato la sua identità civile, si è sposato e mi ha scritto che per lui sarebbe stata una consolazione venire da me con la sua sposa. Lui che era lei ma è lui. Li ho ricevuti, erano contenti. Nel quartiere dove abitava c’era un sacerdote nuovo che appena lo vedeva lo sgridava: andrai all’inferno! Il vecchio sacerdote ottantenne invece gli diceva: da quant’è che non ti confessi?, vieni e potrai fare la comunione. Capito? La vita è vita, le cose si devono prendere come vengono. Il peccato è peccato, ci sono le tendenze, gli squilibri ormonali, esistono tanti problemi e dobbiamo essere attenti non dire “è tutto lo stesso, facciamo festa”. Ma ogni caso bisogna accoglierlo, accompagnarlo, discernerlo e integrarlo. È un problema di morale, umano, e si deve risolvere come si può, sempre con la misericordia di Dio, con la verità ma sempre col cuore aperto».

Ha detto che il divorzio che «sporca l’immagine di Dio», ma si era parlato di accoglienza dei divorziati. Come si concilia? 
«Tutto ciò che ho detto — l’immagine di Dio che è l’uomo e la donna assieme uniti in matrimonio — è contenuto nell’esortazione Amoris Laetitia, dove poi si parla delle coppie ferite. Il principio è quello ma le debolezze umane esistono, i peccati esistono, e sempre l’ultima parola ce l’ha la misericordia».

I cattolici Usa dovrebbero scegliere tra un candidato lontano per molti aspetti dall’insegnamento della Chiesa e un altro che ha fatto dichiarazioni contro i migranti... 
«In campagna elettorale io non dico mai dico una parola: il popolo è sovrano, dirò solo: studia bene le proposte, prega e scegli in coscienza. Ma al di là del caso specifico, quando in un Paese qualsiasi ci sono candidati che non danno soddisfazione a tutti, significa che la vita politica di quel Paese è forse troppo politicizzata ma non ha tanta cultura politica».

Come arrivare alla pace tra Armenia e Azerbaigian? 
«L’unico cammino è il dialogo sincero, senza cose sotto il tavolo, faccia a faccia. Se non si può, avere il coraggio di rivolgersi a un tribunale internazionale, all’Aja per esempio. La guerra distrugge sempre, con la guerra si perde tutto».

Perché tra i tuoi viaggi prossimi non c’è la Cina? 
«Si studia, si parla, ci sono commissioni di lavoro. Mi piacerebbe molto andare, ma non penso ancora. Sono ottimista. Le cose lente vanno bene sempre, le cose in fretta no. L’altro ieri a un convegno in Vaticano sullaLaudato si’ c’era una delegazione cinese che mi ha portato un regalo del presidente».

L’arcivescovo di Rouen ha detto che lei ha autorizzato il processo di beatificazione di padre Hamel senza aspettare i cinque anni... 
«Faremo degli studi, ma l’intenzione è andare su questa linea. Comunque si devono cercare testimonianze fresche per aprire il processo».

Quando i nuovi cardinali, e a quali criteri si ispira? 
«A fine anno, o all’inizio del prossimo. La lista è lunga ma ci sono solo 13 posti. Bisogna cercare un equilibrio. Mi piace che si veda nel Collegio cardinalizio l’universalità della Chiesa, i cinque continenti, e non solo il centro europeo».

Quando andrà a trovare i terremotati? 
«Sono state proposte tre date possibili, la terza è la prima domenica di Avvento. Ma lo farò privatamente, da solo. Come sacerdote, vescovo e Papa ma da solo. Vorrei essere vicino alla gente».

Quali saranno i suoi viaggi internazionali l’anno prossimo? 
«Di certo andrò in Portogallo, soltanto a Fatima. Andrò quasi di sicuro in India e Bangladesh. In Africa non è sicuro, dipende da situazione politica e dalle guerre. In Colombia ho detto che potrei andare se il processo di pace riesce, quando tutto sarà blindato, se vince il plebiscito, quando tutto sia sicuro e non si può tornare indietro».

Per il premio Nobel per la pace ci sono vari candidati. Lei chi spera che vinca?
«C’è tanta gente che vive per fare la guerra, per fare la vendita delle armi, per uccidere. Ma anche c’è tanta gente, tanta, che lavora per la pace. Non saprei dire quale persona scegliere, è difficile. Mi auguro, al di là del premio, che a livello internazionale ci sia un ricordo, una dichiarazione sui bambini, sugli invalidi, sui minorenni, sui civili morti sotto le bombe delle guerre. Credo che quello sia un peccato contro Gesù Cristo, perché la carne di quei bambini, di quella gente ammalata, di quegli anziani indifesi, è la carne di Gesù Cristo. Bisognerebbe che l’umanità dicesse qualcosa sulle vittime delle guerre».

Dopo l’incontro con il patriarca ortodosso della Georgia, Ilia II, vede possibilità di collaborazione? 
«Il patriarca è un uomo di Dio, quest’uomo mi ha commosso. Sulle cose che ci uniscono e separano, io dirò: non mettersi a discutere le cose di dottrina, lasciatele ai teologi, sanno farlo meglio di noi, sono bravi e hanno buona volontà; noi, popolo, dobbiamo pregare gli uni per gli altri, questo è importantissimo. Bisogna fare cose insieme, i poveri, i migranti: facciamo il bene agli altri insieme. Questo è il cammino dell’ecumenismo, non solo la dottrina, questa è l’ultima cosa, si arriverà alla fine, ma cominciamo a camminare insieme, oggi l’ecumenismo si deve fare camminando insieme e pregando gli uni per gli altri».

(Corriere delle Sera - di Gian Guido Vecchi)

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