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Martini, la più bella omelia per San Francesco

Redazione online
Pubblicato il 04-10-2017

Ecco l'omelia pronunciata dal Cardinale il 4 ottobre 1995 nel giorno del santo di Assisi, La riproponiamo a cinque anni dalla sua morte

Ricordiamo il Santo Patrono d'Italia rendendo grazie a Dio, per avercelo donato come riflesso della sua gloria e facciamo l'offerta simbolica dell'olio della lampada che arderà sulla sua tomba. Riprendiamo per ordine questi due momenti. La figura di Francesco e il suo influsso nella società e nella Chiesa sono richiamati dalle tre letture della messa di san Francesco: dal libro del Siracide, dalla lettera ai Galati e dal vangelo secondo Matteo.
L'ascolto di questi tre brani ci richiama successivamente a che cosa ha fatto san Francesco, a quale prezzo lo ha fatto e con quale metodo. II metodo è stato quello dell'umiltà e della semplicità, quella semplicità dei piccoli di cui parla il Vangelo, dichiarando che ad essi sono rivelati i misteri del Regno. II prezzo è stato quello della croce e delle stigmate, di cui ci parla la lettera ai Galati: “non ci sia per me altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo [...] io porto le stigmate di Gesù nel suo corpo”.

Ciò che egli ha fatto per la Chiesa e la società del suo tempo viene suggerito dalla prima lettura con una serie di metafore. In realtà la prima lettura, tratta dal capitolo 50 del libro del Siracide (50,1.3-7) parla di un sommo sacerdote degli ultimi tempi del giudaismo prima di Cristo. In essa si fa un elogio di Onia III, operante tra il 225 e il 200 a.C. ricordato per le sue grandi opere civiche e soprattutto per il fulgore del suo sacerdozio. Di lui il testo enumera tre opere civiche e religiose di carattere esterno e una più interiore, riguardante l'esercizio del culto. Le tre opere esteriori riguardanti la città sono la riparazione del tempio, lo scavo di un serbatoio per l'acqua piovana, “ampio come il mare”, e la fortificazione delle mura. L'opera interiore ricorda con dovizia di particolari il suo modo di vivere la grande liturgia della festa dell'espiazione, una delle feste più importanti della tradizione ebraica. Il brano termina con tre paragoni tratti dalla natura: questo sommo sacerdote fu come l'astro mattutino che dà sollievo quando lo si scorge tra le nubi oscure, come la luna quando è piena e illumina la notte, come il sole sfolgorante: così egli rifulse nel tempio di Dio.
È chiaro che la liturgia evoca queste caratteristiche di un personaggio - altrimenti poco noto - della fine dell'Antico Testamento per richiamare alla mente alcune caratteristiche del Santo di cui celebriamo solennemente la festa. Anche di san Francesco d'Assisi si può dire, in linguaggio figurato, che riparò il tempio, scavò un serbatoio, fortificò le mura.


La riparazione del tempio
La riparazione del tempio, della chiesa che va in rovina, fu uno dei primi modi con cui gli si svelò la sua vocazione. Dice la Leggenda maggiore di san Bonaventura: “Un giorno era uscito nella campagna per meditare. Trovandosi a passare vicino alla chiesa di San Damiano, che minacciava rovina, vecchia com'era, spinto dall'impulso dello spirito Santo, vi entrò per pregare. Pregando inginocchiato davanti all'immagine del Crocifisso, ti senti invadere da una grande consolazione spirituale e, mentre fissava gli occhi pieni di lacrime nella croce del Signore, udì con gli orecchi del corpo una voce scendere verso di lui dalla croce e dirgli per tre volte: Francesco, va e ripara la mia chiesa che, come vedi, è tutta in rovina!”.
La sua prima obbedienza è di accingersi alla riparazione materiale benché, continua il biografo. “la parola divina si riferisse principalmente a quella Chiesa che Cristo acquistò col suo sangue, come lo Spirito Santo gli avrebbe fatto capire e come egli stesso rivelò in seguito ai frati”.


Scavò un serbatoio
La seconda metafora biblica, quella dello scavo del grande deposito delle acque, ci richiama la straordinaria ricchezza della dottrina spirituale di Francesco, capace di dissetare la sete spirituale di uomini e donne di ogni tempo e cultura, pur essendo, come l'acqua che egli ha cantato “come molto utile ed umile e preziosa et casta”, una dottrina semplicissima, chiaro riflesso dell'evangelo.


Fortificazione delle mura
La terza metafora, della fortificazione delle mura, ci richiama la sua predilezione per quello che nella tradizione monastica è chiamato il muro di sostegno e di difesa della vita evangelica, cioè la santa povertà. Chi pensa a san Francesco d'Assisi pensa spontaneamente al suo amore per la povertà. Non per niente il più antico scritto su san Francesco (1227, a un anno dalla morte) porta il titolo di “Sacrum commercium sancti Francisci cum domina paupertate”. Tommaso da Celano riporta che fu durante la Messa del 24 febbraio 1209 che Francesco ascoltò nella cappella della Porziuncola “quelle parole che Gesù nel vangelo disse ai suoi discepoli, quando li inviò a predicare, che cioè essi non portassero con sé né oro né argento, né borsa, né pane, né bastone lungo il cammino, né scarpe e neppure due tuniche. Egli allora - continua il biografo - fu pieno di indicibile gioia ed esclamò: «È proprio quello che bramo realizzare con tutte le mie forze»”.
La parola successiva del brano del Siracide riguardante il comportamento del sommo sacerdote durante la liturgia ci richiama la grande devozione eucaristica di san Francesco. “Dell'altissimo Figlio di Dio nient'altro vedo corporalmente in questo mondo se non il suo santissimo corpo e sangue”, afferma nel suo Testamento. “E voglio che questi santissimi misteri - aggiunge - sopra tutte le altre cose siano onorati, venerati e collocati in luoghi preziosi”. II testo del Siracide termina con varie immagini di luminosità, delle stelle, della luna, del sole.
È interessante notare che questo stesso testo del Siracide venne già utilizzato da san Bonaventura nel prologo della sua “Leggenda maggiore” dicendo: “Come la stella del mattino, che appare in mezzo alle nubi, con i raggi fulgentissimi della sua vita e della sua dottrina (Francesco) attrasse verso la luce coloro che giacevano nelle tenebre della morte; come l'arcobaleno, che brilla tra le nubi luminose, portando in se stesso il segno del patto con il Signore, annunciò agli uomini il vangelo della pace e della salvezza”.


Significato dell'offerta dell'olio
Abbiamo richiamato, con l'aiuto dei simboli proposti dal Siracide, qualche aspetto della figura di san Francesco per rendere grazia a Dio di questo dono fatto all'Italia e al mondo. Ora volgiamo la nostra attenzione alla risposta simbolica a questo dono, cioè all'offerta dell'olio. L'olio significa sia la medicazione come la gioia e il rinnovamento. Le due cose sono molto necessarie alla nostra società.


L'olio della medicazione
È anzitutto necessario l'olio della medicazione, della riconciliazione, della pacificazione. Come abbiamo affermato noi Vescovi lombardi nel messaggio per questo pellegrinaggio francescano “molte sono le ferite ancora aperte nella coscienza collettiva del nostro popolo”. E molte sono le ferite che continuamente si aprono a seguito di sospetti, accuse, attacchi alle persone. Gravissime sono poi le ferite che le guerre e i massacri aprono nel corpo della società europea e mondiale. Pensiamo con dolore in questo momento alle sofferenze della guerra nella ex Jugoslavia, alle atrocità commesse nel Ruanda e nel Burundi, fino al massacro di tre missionari italiani qualche giorno fa.


L'olio della rinascita
L'olio significa anche il desiderio di rinascita sociale, politica ed evangelica che in varie forme emerge dal cuore di tutti. Esso è segno della fatica, della laboriosità, della cordialità della nostra gente: sacrificio, sofferenza, altruismo, solidarietà, volontariato sono componenti del vivere quotidiano delle nostre genti lombarde, che trovano radice profonda nella cultura cristiana che ha caratterizzato la storia passata e che ancora permea il presente. Il profondo bisogno di rinnovamento che tutti avvertiamo è una risposta ai problemi personali e comunitari creati anche in terra lombarda da vuoti di idealità e di speranza, da appannamento dei valori, dalla chiusura al senso di solidarietà e di condivisione che le nostre genti lombarde da sempre hanno attinto alle profonde convinzioni religiose.

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