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L'oratorio, origini e significato. Quando la community diventa reale

Antonio Tarallo Pixabay
Pubblicato il 12-03-2019

Oratorio, termine antico, nato intorno al 1550, grazie all’intelligenza e al cuore di San Filippo Neri

Chissà se vale anche per il sistema “oratorio”, quello che Giuseppe Verdi disse un giorno in merito alla musica wagneriana, mal digerendo le troppe novità del panorama musicale dell’epoca: “Ritorniamo all’antico, sarà un progresso!”. Certamente, alla parola “oratorio”, noi tutti viviamo di un immaginario così personale che sarebbe assai difficile poterlo catalogare. Di una cosa siamo sicuri, e si potrebbe sintetizzare così: una infanzia, o adolescenza, all’ombra di una parrocchia. Un giardino – il più delle volte, ma non sempre presente – per le partite a calcio, o per allegre scorribande, lo abbiamo un po’ tutti fisso nella mente.

Così come le feste del carnevale in maschera (da poco passato), o quei pranzi luculliani, di famiglie in festa. L’immagine, è vero, sembra un po’ “antica” – ritorniamo a quell’ “antico”-progresso sostenuto dal genio di Busseto – ma ancora è ben presente in molte realtà parrocchiali, vicinissime a noi. Basterebbe fare una passeggiata attenta, in qualche nota città d’Italia, o in qualche paesello di montagna o di campagna. Cambierebbe semplicemente l’area d’interesse, i chilometri percorsi.


Oratorio”, termine antico, nato intorno al 1550, grazie all’intelligenza e al cuore di San Filippo Neri, che vedeva in questo, una comunità di religiosi e laici che – assieme – potessero vivere, in comunione fra loro, sui “passi” degli apostoli. Su questa idea, a fine ‘800 nacque l’opera di un altro santo, Giovanni Bosco, che in una chiesetta del torinese, intitolata a San Francesco d’Assisi, inaugurò un ciclo di incontri fra ragazzi per poter parlare del Vangelo. Era l’inizio di quelli che poi diverranno i famosi “oratori salesiani”. E sarà proprio nell’oratorio salesiano di Valdocco di Torino, che Luigi Orione – la Chiesa ne festeggia oggi la memoria – muoverà i suoi “primi passi” come servitore del Vangelo, del prossimo.



3 luglio 1892, data importante per il giovane chierico Luigi Orione. Ci troviamo a Tortona, dove il ragazzo studia per divenire sacerdote, dopo una esperienza presso i Frati Minori Francescani di Voghera, vissuta all’età di tredici anni. Il giovane Orione – seguendo le orme del suo maestro, Giovanni Bosco – incomincia a impartire lezioni di catechismo a dei giovani. E’ “amore a prima vista”, come si direbbe in una favola. L’insegnamento, il rapporto con i giovani, diventa primario nell’animo di Orione, tanto a spingerlo ad aprire un “oratorio festivo”, intitolato a San Luigi.



“Ero chierico e custode del duomo: Vescovo di Tortona era Mons. Bandi, ancora al principio del suo episcopato. I ragazzi e giovanetti che mi si serravano attorno erano tanti, alcune centinaia: ce n'erano delle elementari, delle tecniche, del ginnasio e un bel gruppo che già lavorava. Non si potevano più tenere: non capivano più nella mia cameretta, là in alto, sul voltone del duomo, l'ultima: non si potevano tenere in cattedrale, perché correvano su e giù, da tutte le parti, non ci stavano più. (…) Il Vescovo diede il suo stesso giardino e parecchie stanze del Palazzo Vescovile. (…) Fu il primo Oratorio che si aprisse in Diocesi”
.



Questo il ricordo di don Orione, in uno scritto datato 3 luglio 1936. Ma quale era “il segreto” di questo uomo per trascinare così tanti ragazzi nel suo oratorio?  E’ lui stesso a rivelarlo, scrivendo così, nel 1903:

“Volete forse il segreto per guadagnarvi l’affetto e trascinarvi dietro le turbe dei ragazzi? Eccovelo, il grande segreto: vestite la carità di Gesù Cristo! (…) Ripieni di questa carità, andate in cerca dei fanciulli che la domenica specialmente vanno errando per le vie e per le piazze, guadagnateli con questa carità: non stancatevi mai, dissimulate i difetti, sappiate soffrire e compatire tanto. Abbiate un sorriso, una parola soave, amabile per tutti, senza differenze, o figli miei, fatevi tutti a tutti per portare tutte le anime a Gesù. (…)   Carità viva! Carità grande! Carità sempre! Colla carità faremo tutto, senza Carità faremo niente! Oh vieni! o carità santa e ineffabile di Gesù e vinci e guadagna il cuore di tutti e vivi grande e affocata nella povera anima mia!”.



Le parole sopracitate fanno molto riflettere, soprattutto nel nostro oggi che tanto ha perso – dobbiamo dirlo, in verità – il vero senso di aggregazione. E, forse, ancor di più, il senso di quella “carità” – altro sostantivo per dire “amore” – così tante volte nominata da don Orione stesso. Uno dei temi cardini del “sistema oratorio” è, come abbiamo compreso, sicuramente: comunità. Questa parola è stata, ormai, “sfiancata” da altre che hanno poco a che fare con il termine originario. In uso, da tempo, ormai “community”. Tra l’altro, uno da poco “sfornato”, è il “video party”, momento di aggregazione in facebook che consente di guardare video in tempo reale con altri utenti e condividere commenti e reazioni. Certamente non si tratta di essere favorevoli o meno ai nuovi strumenti che la rete ci offre. Questo risulterebbe alquanto anacronistico. Diverso, invece, è chiederci, quanto proprio l’oratorio – in Tempi come questi – rimanga un caposaldo di un certo modo di fare comunità.



Filippo Neri, Giovanni Bosco, Luigi Orione sono stati uomini che hanno colto quanto la “differenza” potesse voler dire “unione” vera. Il chiasso, il rumore di vita di un “oratorio” non ha nulla a che fare con il sordo battito di tastiera di un computer. Non ha nulla a che fare con i “commenti” sotto un post, dove la voce – seppur in “dialogo” con altri commenti – rimane comunque una voce singola. L’individualismo sfrenato che stiamo vivendo – e lo vivono fin dalla giovane età, i nostri figli, i nostri nipoti – così ben indagato dal noto sociologo polacco Bauman, pone dei punti interrogativi sulla società dei giovani d’oggi. L’oratorio, per la sua intrinseca forza di comunione l’uno con l’altro, è una “piazza” non virtuale, dove ogni ragazzo – ancora oggi – incontra quell’Amore di cui abbiamo bisogno. Bauman, nel suo saggio “Voglia di comunità”, scrive: “La comunità ci manca, perché ci manca la sicurezza, elemento fondamentale per una vita felice, ma che il mondo di oggi è sempre meno in grado di offrirci e sempre più riluttante a promettere”.



Gli oratori, a distanza di anni dalla loro fondazione, hanno ancora la capacità di offrire – grazie alla propria “struttura” – una vita fatta di relazioni vere, e di far sentire a ogni ragazzo/a la bellezza di appartenere a una comunità, dove potersi incontrare, confrontare, crescere.


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