religione

Il Papa e al-Azhar, insieme per la pace

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

L’incontro di domani è un altro, importante mattone messo da papa Francesco per l’edificazione della pace. E può diventare un potente aiuto per dare più forza alle tendenze riformiste nel mondo islamico, dove le correnti radicali stanno guadagnando terreno. Wael Farouq egiziano, musulmano, docente di lingua araba all’Università americana del Cairo e alla Cattolica di Milano, parla alla vigilia dell’incontro tra il Papa e l’imam dell’università di al-Azhar, Ahmad Al-Tayyib.


Da dove nasce il suo ottimismo?

C’è una logica nell’itinerario che ha portato Bergoglio a incontrare altri leader cristiani e molte autorità politiche: Obama, Putin, l’iraniano Rohani. È una logica figlia di quella cultura dell’incontro che è uno dei pilastri del suo pontificato. Francesco è una persona certa della sua fede, e questa certezza lo rende disponibile a incontrare chiunque e a vedere in ogni persona e in ogni cultura una possibilità di arricchimento prima che una minaccia. Questo modo aperto di concepire il rapporto con l’alterità è l’antidoto più potente alla violenza, al sospetto e allo scetticismo che sono sempre più presenti nel mondo. Ed è un ingrediente necessario per perseguire il bene comune, qualcosa che non si può costruire unilateralmente ma solo camminando insieme.


Quando si dialoga con i musulmani, non essendoci una autorità univocamente riconosciuta, c’è sempre il problema della rappresentatività dell’interlocutore. E in questo momento l’autorevolezza di al Azhar viene messa in discussione da varie anime del mondo islamico...

L’università di al Azhar rimane indiscutibilmente il punto di riferimento che vanta più seguito nella componente sunnita della umma , che è di gran lunga la più numerosa. Sta facendo un percorso in senso riformista del pensiero islamico, teso a una maggiore apertura, e l’incontro di domani in Vaticano si inserisce in questa dinamica. Se questo percorso viene incoraggiato anche dall’esterno, aumentano le possibilità di fronteggiare efficacemente le correnti wahhabite sostenute e finanziate dall’Arabia Saudita, che a loro volta fiancheggiano le formazioni più radicali e violente, tra cui il sedicente Stato islamico e Al-Qaeda.


Dieci anni fa il discorso pronunciato da Benedetto XVI a Ratisbona fu oggetto di feroci critiche da parte musulmana, ed è all’origine della rottura dei rapporti tra al Azhar e il Vaticano. Cosa è cambiato da allora?

Le parole di Ratzinger sono state oggetto di una colossale mistificazione, anzitutto a livello mediatico, e hanno provocato reazioni spropositate e strumentali. Il Papa aveva esortato tutti a un uso corretto della ragione che è il vero antidoto alla violenza, mentre è prevalsa una lettura in chiave anti-islamica. La tenacia con cui l’attuale Pontefice cerca di valorizzare ogni possibilità di dialogo può rappresentare la base per tornare a parlarsi e a camminare insieme. La sua figura è molto apprezzata tra i musulmani: sono sempre di più coloro che non lo considerano il capo del partito cristiano, ma una guida religiosa che ha a cuore il bene di tutti. E che sa cogliere in ogni interlocutore una possibilità di bene. Questo aiuta le posizioni di chi, nel nostro mondo, lavora per uscire dall’autoreferenzialità e da una chiusura che ci isola dal mondo e frena il cambiamento.



Dopo la strage alla redazione parigina del settimanale Charlie Hebdo alcuni dissero che "il problema" sono le religioni, perché scaldano gli animi e spingono alla violenza in nome di principi assoluti. Il cardinale Tauran rispose che le religioni non sono il problema ma sono parte della soluzione. L’incontro di domani può dare un segnale in questa direzione?

Anzitutto bisogna fare una operazione di verità. È innegabile che ci sia chi strumentalizza la religione, ma voglio ricordare che un rapporto di Europol ha certificato che solo il 6 per cento degli episodi di violenza ha una radice religiosa. In generale bisogna riconoscere che una esperienza religiosa autentica è fonte di concordia e riconosce nell’altro un bene prezioso. L’incontro di domani nasce da questa convinzione, speriamo che porti frutti di bene. (Avvenire)

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