religione

Don Morosini, resistente dello spirito. Fu fucilato il 3 aprile 1944 dai nazifascisti.

Mario Scelzo
Pubblicato il 03-04-2019

Ricorrono oggi, 3 aprile 2019, i 75 anni dalla morte di Don Giuseppe Morosini, giovane sacerdote e partigiano, fucilato dalle truppe nazifasciste nel 1944 presso Forte Bravetta a Roma.

Il Comune di Ferentino, terra natale di Don Giuseppe, ha organizzato una serie di celebrazioni nell’arco di tutta la settimana, in collaborazione con la Diocesi di Frosinone-Ferentino-Veroli e la Pro-Loco, per ricordare la figura del prete “patriota e resistente” e per sottolineare l’attualità della sua testimonianza evangelica.

Prima di dare conto ai lettori di queste pagine della conferenza che si è tenuta domenica 31 Marzo nella Cattedrale dei SS.Giovanni e Paolo di Ferentino, vorrei brevemente ricordare a chi non la conoscesse la storia di Don Giuseppe Morosini. Ordinato sacerdote nel 1937, nel 1941 fu cappellano militare del 4º reggimento d'artiglieria di stanza a Laurana, ora in Croazia ma all'epoca in provincia di Fiume.

Nel 1943 fu trasferito a Roma. Qui assisteva i ragazzi sfollati dalle zone colpite dal conflitto che erano alloggiati nella scuola elementare Ermenegildo Pistelli, situata nel quartiere Della Vittoria. Dopo l'8 settembre entrò nella resistenza romana principalmente come assistente spirituale, ma riuscì anche ad aiutare concretamente i patrioti, procurando armi e vettovagliamenti.

Era in contatto con la "banda Fulvi", comandata da un ufficiale dell'esercito italiano, il tenente Fulvio Mosconi. Ottenne da un ufficiale della Wehrmacht di stanza al monte Soratte il piano delle forze tedesche sul fronte di Cassino, ma, segnalato da un delatore fu arrestato dalle SS il 4 gennaio del 1944, mentre, insieme all'amico Marcello Bucchi, raggiungeva il Collegio Leoniano nel rione Prati.

Fu detenuto a Regina Coeli nella cella n. 382. Morosini venne accusato oltre che di aver passato agli Alleati la copia della mappa del settore difensivo tedesco davanti a Cassino, anche del possesso di una pistola e del deposito di armi ed esplosivi nascosto nello scantinato del Collegio Leoniano.

Sottoposto a torture perché rivelasse i nomi dei suoi complici, Morosini non solo non parlò ma, come il Bucchi, cercò anzi di addossarsi ogni colpa del movimento. Il 22 febbraio il tribunale tedesco lo condannò a morte. Nonostante le pressioni esercitate dal Vaticano, fu fucilato il 3 aprile 1944 a Forte Bravetta. All'ordine di aprire il fuoco, dieci componenti del plotone spararono in aria. Rimasto ferito dai colpi degli altri due, don Morosini fu ucciso dall'ufficiale fascista che comandava l'esecuzione con due colpi di pistola alla nuca.

Il Vescovo di Frosinone Mons. Ambrogio Spreafico, nel corso della conferenza, ha sottolineato alcuni aspetti della testimonianza di vita di Don Giuseppe. Qui un estratto delle sue parole: “Don Giuseppe è stato un prete missionario, che ha fondato la sua esistenza terrena sui valori di giustizia e di carità. Lo ricordiamo come un uomo radicato in una fede seria ed impegnata per il bene degli altri, da qui nasce la sua ansia di liberazione. Che senso ha la sua figura oggi? Ci ha mostrato come sia possibile vivere con una anima di carità dentro un conflitto, solo la carità può abbassare il livello del male e della violenza, questo è vero anche oggi ed è un messaggio di profonda attualità per noi cristiani, chiamati ad imitare Gesù nella mitezza e nella carità. Il suo sostegno alla resistenza animata è nato dalla repulsione della violenza, è stato un resistente dello spirito ed anche noi dobbiamo esserlo in tutti gli ambiti della nostra esistenza. Ci ha lasciato l’esempio di un prete, di un uomo per gli altri, di vita donata per gli altri. Seguiamo il suo esempio per vivere da costruttori di pace”.

Il Sindaco diFerentino, nonché Presidente della Provincia di Frosinone, Antonio Pompeo, ha sottolineato nella sua veste di amministratore “il dovere morale di riprendere i suoi valori europeisti. La sua è una figura di grande attualità da trasmettere alle giovani generazioni, proprio per questo ricorderemo Don Morosini attraverso varie iniziative nelle scuole di Ferentino, in particolare approfondiremo con gli studenti alcune delle sue passioni come quella per la musica.” (Durante la sua permanenza in carcere a Regina Coeli, il prete compose una celebre Ninna Nanna per il figlio che doveva nascere al suo compagno di detenzione Epimenio Liberi, ucciso poi alle Fosse Ardeatine il 24 Marzo del 1944).

Difficile sintetizzare in poche parole la corposa e documentata ricostruzione storica della figura di Don Morosini e del contesto socio/politico della Roma occupata dalle truppe nazifasciste proposta al pubblico in sala dal Professor Augusto D’Angelo, Docente di Storia Contemporanea presso l’Università La Sapienza di Roma. Da storico e studioso delle fonti D’Angelo ha sottolineato la scarsità di documenti cartacei esistenti sulla figura di Don Morosini, auspicando che con la desecretazione degli archivi del pontificato di Pio XII che avverrà nel 2020 si possa incontrare nuovo materiale per approfondire il ruolo di Don Giuseppe nella Resistenza al Nazifascimo.

D’Angelo ha poi ricordato l’incontro tra Don Morosini ed il futuro Presidente della Repubblica Sandro Pertini, i due infatti sono stati reclusi contemporaneamente per 20 giorni a Regina Coeli prima dell’evasione di Pertini. Questo il ricordo dell’amatissimo Presidente: “Detenuto a Regina Coeli sotto i tedeschi, incontrai un mattino don Giuseppe Morosini: usciva da un interrogatorio delle SS, il volto tumefatto grondava sangue, come Cristo dopo la flagellazione. Con le lacrime agli occhi gli espressi la mia solidarietà: egli si sforzò di sorridermi e le labbra gli sanguinarono. Nei suoi occhi brillava una luce viva. La luce della sua fede. Benedisse il plotone di esecuzione dicendo ad alta voce: 'Dio, perdona loro: non sanno quello che fanno', come Cristo sul Golgota. Il ricordo di questo nobilissimo martire vive e vivrà sempre nell'animo mio”.

D’Angelo non ha potuto non sottolineare quanto il laico, socialista ed ateo Sandro Pertini avesse collegato la sofferenza di Don Morosini a quella di Nostro Signore sulla croce. Queste poi le conclusioni dello storico: “Don Morosini è stato un ingenuo? No, è stato un Sacerdote, nel senso universale del termine. E’ stato un Patriota, lo sottolineo perchè si usciva da un ventennio per cui essere patrioti voleva dire essere fascisti, quindi va intesa la riappropriazione di quel termine in senso positivo. E’ evidente il suo essere stato Antifascista/antinazista, per aver scelto di anteporre il primato dell’uomo al centro dell’azione dello Stato, e non il primato dello Stato. E’ stato un Resistente, non nel senso della resistenza armata ma vivendo una resistenza politica e civile. La sua memoria merita di restare viva per ricordarci un tempo drammatico in cui si fu chiamati a scegliere tra la difesa dell’umanità ed il rispetto di una legge inumana, ed essere umani oggi vuol dire - qui D’Angelo mostra di conoscere il territorio a cui si rivolge, funestato dalla vicenda dell’inquinamento ambientale della Valle del Sacco - non inquinare la terra sopra cui si vive, vuol dire mostrarsi accoglienti verso chi scappa da guerre e carestie, vuol dire vivere da 'Resistenti Civili' nella vita di tutti i giorni”.

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