Lettere al direttore

SONO CONFUSO E NON VOGLIO DELUDERE IL SIGNORE

Enzo Fortunato
Pubblicato il 30-11--0001

Mi chiamo Severino,

sono felicemente sposato e ho due

figlie. Sono un cristiano cattolico praticante

e cerco di trasmettere l’insegnamento

anche ai miei figli. Ultimamente

sto riflettendo sul VI comandamento e

in particolare sui rapporti sessuali tra

marito e moglie. Il catechismo della

Chiesa cattolica cita al 2363 “l’amore

coniugale dell’uomo e della donna è

così posto sotto la duplice esigenza

della fedeltà e della fecondità”. È quindi

considerato peccato ogni rapporto

sessuale privo del requisito della trasmissione

della vita seppur trattasi di

rapporti tra marito e moglie che si vogliono

bene e fatti con moderazione e

nessun eccesso? Sono confuso e non

voglio deludere il Signore. Mi scuso per

l’argomento. Grazie e pace e bene,

Severino (FE)


Carissimo Severino,

il numero del CCC a cui fai riferimento,

nella linea indicata dalla Gaudium

et Spes del Concilio Vaticano II, richiama

il duplice fine del matrimonio:

il bene dei coniugi e la trasmissione

della vita, nella sequenza qui descritta.

Infatti il bene dei coniugi esprime

la comunione d’amore – e di crescita

nell’amore – che la grazia “innesca” in

modo tutto particolare, rendendo tutta

la vita degli sposi sacramento (segno

che indica e che realizza) dell’amore di

Cristo e della Chiesa. Amore che dura

nel tempo (amore fedele) e dona vita

alla Chiesa, animandola e donandole

nuovi figli, nella potenza dello Spirito

Santo (amore fecondo). È questo amore, così connotato, che i coniugi

si scambiano. Capace di alimentare

novità di vita: sia in termini di crescita

nell’amore fra i coniugi (fedeltà feconda),

sia in termini di espressione

“concreta” di tale amore nella persona

dei figli (fecondità fedele). Pensare

che l’uno possa esistere senza l’altro

è impossibile. Direi che, in ordine alla

sessualità, questo connubio è strutturale,

si esprime in ogni tipo di rapporto

marito/moglie e, in modo, peculiare

nel rapporto di per sé atto a generare

la vita di un figlio, espressione “sacramentale”

della fedeltà feconda e partecipazione

alla creazione e paternità

divina. In questo senso va compresa

l’inaccettabilità, da parte della Chiesa,

sia di rapporti che si precludono la

vita, sia la generazione della vita staccata

dall’atto coniugale (procreazione

artificiale). In quest’ottica gli stessi

metodi anticoncezionali (dunque, nella

linea della natura delle cose e non

mezzi “artificiali”) possono diventare

un’espressione del rifiuto alla pienezza

dell’amore, perché espressione di

una mentalità rinnegatrice della vita.

Ma questo aiuta anche a comprendere

che ciò che sta a cuore alla Madre

Chiesa è che la relazione coniugale sia

espressione di un bene che esprime

la “sacramentalità” della relazione Cristo/

Chiesa, costruisca la famiglia (nella

mutua relazione dei coniugi e dei figli

da essa generati) e, dunque, la Chiesa

(già la famiglia è Chiesa domestica) e

l’intera società. Un caso particolare, in

questo dinamismo di relazione ternaria

(coppia - Cristo), è quello relativo

alla paternità/maternità responsabile

di cui parla lo stesso CCC n. 2368,

riprendendo l’Humanae Vitae di Paolo

VI: sono gli sposi, alla luce di criteri

oggettivi e non arbitrari, in ascolto

della Parola di Dio, del Magistero della

Chiesa e della propria coscienza formata

– “legge scritta da Dio dentro il

suo cuore (dell’uomo): obbedire è la

dignità stessa dell’uomo, e secondo

questa egli sarà giudicato” (GS 16), a

decidere cosa fare (HV 10). Spero di

essere riuscito a comprendere i tuoi

interrogativi.

Un caro saluto di pace e bene

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