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Francescanesimo/Botta e risposta tra la storica Chiara Frugoni e lo storico Padre Giuseppe Magro

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001



In merito all'articolo della storica Chiara Frugoni, pubblicato il 21 Maggio 2010 dal Corriere della Sera, dal titolo "San Francesco e il rogo falso", pubblichiamo di seguito un intervento dello storico Padre Pasquale Magro dal titolo "1219: Francesco incontra il Sultano d'Egitto. L'affresco giottesco nella Chiesa Superiore di Assisi"

Articolo di Chiara Frugoni, pubblicato il 21 Maggio 2010, sul Corriere della Sera

"San Francesco e il rogo falso
Non ci fu mai la sfida del frate al sultano narrata da Bonaventura nella sua biografia

Francesco voleva un'applicazione radicale del Vangelo e perciò predicò la pace e l'amore verso il prossimo, verso tutti, anche verso chi era di un'altra religione, come i musulmani.

Durante la Quinta Crociata Francesco passò vari mesi in Egitto; tornato in Italia, dedicò un capitolo della regola del 1221 - cosa incredibile per quei tempi di continue guerre - su come i suoi frati dovessero vivere fra i musulmani: senza liti e senza dispute, in pace. Ben diversamente invece fu rappresentato l' incontro del sultano in una delle scene della Basilica superiore di Assisi.

Il santo ha lanciato una sfida ed è pronto ad entrare nel fuoco: è un dettaglio qui rappresentato per la prima volta, che accredita come già in atto quella che fu una mera proposta verbale di Francesco, così racconta il solo Bonaventura nella Legenda maior. Secondo il biografo le guardie musulmane avevano trattato malissimo Francesco, il quale però, giunto davanti al sultano, Malik-al-Kamil, ricevette un' accoglienza assai favorevole.

Malik-al-Kamil ascoltava volentieri e ammirava il santo, gli aveva offerto doni a più riprese; gli chiedeva di rimanere presso di lui. Di fronte a tante attestazioni di stima un giorno Francesco, «illuminato da un oracolo del cielo, gli disse: "Se tu col tuo popolo vuoi convertirti a Cristo, io resterò molto volentieri con voi. Se invece esiti ad abbandonare la fede di Maometto per la fede di Cristo, dà ordine di accendere un fuoco il più grande possibile: io con i tuoi sacerdoti entrerò nel fuoco e così almeno potrai conoscere quale fede, a ragion veduta, si deve ritenere più certa e più santa"».

Il sultano però rispose di ritenere impossibile che gli sfidati accogliessero una simile proposta. Il santo si offrì allora di entrare da solo: se non fosse stato bruciato, ma fosse invece uscito illeso dalle fiamme, il sultano e il suo popolo si sarebbero dovuti convertire alla fede di Cristo. Anche questa volta Malik-al-Kamil rispose di non potere accettare perché temeva una rivolta di tutti i sudditi. Non cessò però di provare enorme devozione per il santo, scongiurandolo di accettare innumerevoli doni, sempre fermamente respinti.

Poi Francesco, preavvertito da una voce divina, vedendo che non poteva realizzare il martirio e che non faceva progressi nella conversione di quella gente, ritornò nei paesi cristiani. Questo il racconto di Bonaventura nella Legenda maior, destinato a diventare il punto di riferimento per le versioni pittoriche successive.

Bonaventura non volle raccontare quello che noi sappiamo da un altro frate, Giordano da Giano, e che cioè Francesco era stato costretto ad interrompere la sua missione e a rientrare precipitosamente in Italia perché la giovane fraternità stava per disgregarsi in mezzo a tensioni di ogni genere.

Questi particolari infatti avrebbero gettato un' ombra sulla santità di Francesco e sull' ordine stesso, dato che poteva essere giudicato irresponsabile un simile viaggio da parte di un capo che lasciava senza guida i compagni.

Il biografo perciò, avendo taciuto le ragioni del rientro del santo, mascherò quello che sembrava essere un fallimento, la mancata conversione dei musulmani, introducendo la sfida lanciata da Francesco, anche se l' ordalia come prova giudiziaria era stato proibita fin dal 1215 nel Concilio Laterano IV. Nell' affresco, alle fiamme scoppiettanti che mai si accesero, si unisce l' umiliazione dei pavidi «sacerdoti» islamici in fuga, con una scritta che conferma sia la reale esistenza del grande fuoco sia l' interpretazione dell' incontro come una disputa, una sfida vinta ovviamente da Francesco con lo scorno e la sconfitta dei musulmani.

L' incontro con i musulmani, nell' affresco di Assisi, falsa doppiamente la realtà: quelle fiamme scoppiettanti che noi vediamo non si accesero mai. Francesco non voleva sconfiggere ed umiliare, come la Chiesa faceva in quel tempo, con gli eretici o con quelli che professavano una diversa fede, ma convertire e persuadere con la forza di una condotta esemplare, con l' esempio, e in pace.
(di Chiara Frugoni: dal Corriere della Sera del 21 Maggio 2010


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Risposta di Padre Pasquale Magro


"1219: Francesco incontra il Sultano d'Egitto.
L'affresco giottesco nella chiesa superiore ad assisi".


E' l'episodio undecimo della celebre sequenza sanfrancescana, composta di 28 riquadri che si sviluppano, sotto il ballatoio, lungo le pareti nord-est-sud della navata della Chiesa superiore. La didascalia apposta all'episodio, nella ricostruzione del p. Bonaventura Marinangeli che in uno studio del 1911 la derivò convincentemente dal testo bonaventuriano della Legenda maior (1263), dice così: “Quando il Beato Francesco, per testimoniare la fede di Cristo volle entrare in un grande fuoco con i sacerdoti del Sultano di Babilonia, però nessuno di essi volle entrare con lui ma tutti fuggirono subito dalla presenza del Santo e del Sultano” (IX,8).

L'episodio sarà conosciuto come quello dell'ordalìa o prova del fuoco. A questa prova di natura mistica si ricorreva quando non si trovava modo di convincere l'avversario con argomenti controversistici. In uno dei sermoni sul santo, Bonaventura racconta e spiega: “Disse il Sultano: Raduniamo qui i nostri saggi e discutiamo della nostra e della vostra fede. Replicò il beato Francesco: La nostra fede è superiore alla ragione e la ragione riesce persuasiva solo per chi crede. Si faccia piuttosto un fuoco con legna di bosco: io entrerò nel fuoco insieme con i vostri savi; quelli che verranno bruciati, saranno segno che la loro legge è cattiva” (Fonti Francescane, edizione 2004: n. 2701).

La chiesa diffidava i cristiani dal proporre o affrontare tale prova che sa di aggressività e sfida oltre che agli uomini anche a Dio stesso. Rimane alquanto inspiegabile come solamente un biografo istituzionale come Bonaventura Ministro generale abbia potuto insistentemente raccontarla non solo nella nominata biografia, ma anche in sermoni (FF 2701) e conferenze (FF 2691, nota 24) sul Santo. Qualche storico esperto in materia ha attribuito il racconto dell'ordalìa a un sentimento apologetico del Generale agiografo investendone lo stesso Francesco! Francesco avrebbe voluto rivendicare l'onore di cristiani, che – secoli prima - a loro volta erano stati provocati a sottoporsi a tale prova da parte di musulmani, ma erano scappati per paura di affrontarla! Nel 1219 Francesco si era recato in quelle terre dove si affrontavano cristiani e musulmani in “guerra santa” sia per diffondervi da missionario la fede cristiana, sia per desiderio di martirio, un sentimento allora tanto diffuso che nemmeno la claustrale Chiara ne era stata immune (FF 3090).

Un testimone oculare della prima attività apostolica dei frati minori tra i saraceni, il cardinale Jacques da Vitry, ebbe a scrivere intorno al 1221: “I saraceni tutti stanno ad ascoltare i frati minori mentre liberamente annunciano la fede di Cristo e la dottrina evangelica, ma solo fino a quando, nella loro predicazione, non incominciano a contraddire apertamente a Maometto come ingannatore e perfido. Allora li percuotono barbaramente e quasi li ucciderebbero (…)” (FF 2228). Sempre secondo il Vitry, Francesco si sarebbe comportato con tanta mansuetudine con il Sultano d'Egitto, che alla sua vista, “la bestia crudele si sentì mutata in uomo mansueto, e per alcuni giorni l'ascoltò con molta attenzione, mentre predicava Cristo davanti a lui e ai suoi” (FF 2227). Ma nei racconti che abbiamo sulla visita di Francesco a Malek-el-Kamil esiste una tale varietà di versioni, tutte frammentarie, che, oltre a sconcertare, non aiuta certo a costruire la verità sull'incontro. La versione di Fra Illuminato, compagno del Santo in Egitto, tace sull'ordalìa, ma riferisce reciproci comportamenti di Francesco e del Sultano non poco conflittuali. Volendo prendere il Frate in trappola, il Sultano lo fa arrivare da lui pestando un tappeto pieno di croci. All'accusa del Sultano finto scandalizzato che era un calpestatore della croce, Francesco rispose che quelle calpestate non erano la croce di Cristo che i cristiani adorano ma quelle dei ladri crocifissi con lui, lasciate ai musulmani in eredità ! (FF 2690).

Nel 1221 Francesco rifiutò vigorosamente di adottare per la sua famiglia religiosa una delle regole antiche come voleva la Costituzione XIII del Concilio Lateranense IV (1215). Invano il cardinale Ugolino tentò di convincerlo a lasciarsi guidare da Benedetto di Norcia, da Agostino d'Ippona, da Bernardo da Chiaravalle (predicatore pentito di crociate). Evangelicamente attento lettore dei segni dei tempi (Mt 16,4), volle che il testo della regola e forma di vita dei suoi frati fosse una risposta alle domande profonde che salivano dal cuore della cristianità di allora. All'interno, il mondo cristiano era scosso dal pullulare di movimenti di dissidenza molto vivaci. Dall'esterno premeva l'aggressione dell'Islam alla Terra Santa e l'Europa. Gioacchino da Fiore prospettava la possibilità di una coalizione tra eretici e musulmani contro la fede cattolica. Negli scritti di Innocenzo III, il primo papa che Francesco incontra nel 1209, traspare la drammaticità dei tempi, ben conosciuta dall'onirico episodio del Laterano crollante, riportato nelle biografie scritte e dipinte primitive sia di Domenico da Gusman come di Francesco d'Assisi. In una lettera al vescovo di Auch, il papa si confidava: “Nulla più riempie di angoscia il nostro cuore che lo spettacolo dei servi della perversità, che si alza con audacia contro la vera dottrina, seducendo le genti semplici, trascinandole a perdizione e sforzandoci di distruggere l'unità della stessa Chiesa cattolica”.

Vigoroso assertore della verità apostolica romana, Francesco legislatore nuovo, scrive due capitoli della regola intesi a formare frati predicatori per le terre cristiane (IX: missio ad populum) e missionari diretti al di fuori di queste (XII: missio ad gentes). Bolle pontificie apposite presentano i frati a prelati e fedeli quali “predicatori cattolici” (FF 2710). Jacques da Vitry ritiene “Ordine dei Predicatori”, “Religione di uomini apostolici” quella dei frati minori attivi in Europa e nel vicino Oriente (FF 2216.2229). Certamente in tali testi legislativi, scritti dopo la propria, in parte negativa, esperienza in Egitto e dei cinque frati uccisi dai musulmani in Marocco (FF 2330), non traspare il senso di sfida (rimasta tale) che l'episodio dell'ordalìa potrebbe ispirare. Anzi. Francesco invita a “non fare liti e dispute e a farsi soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio”, citando la prima lettera di Pietro (2,13). La giusta contestualizzazione di questi testi relativi al rapporto con i saraceni e gli infedeli (“lupi”: FF 42:Mt 10,16) non porta anzitutto al Francesco uomo di pace interreligiosa ma a Francesco missionario inteso a proporre con vigore – con il rischio del martirio - il dono della fede cristiana a quelli che non l'avevano, anzi la volevano distrutta. Da questo punto di vista, Francesco si trova in sintonia con l'attuale pensiero della Chiesa che vede perfino nello stesso dialogo interreligioso un “luogo di missione”, non primariamente di preoccupazioni pacifiche o pacifiste a tutti i costi (Redemptoris missio. Circa la validità del mandato missionario, 1990).

Concludo. Negli anni dopo il Vaticano II, soprattutto in seguito all'incontro interreligioso voluto da Giovanni Paolo II il 27 ottobre 1986 proprio da san Francesco ad Assisi - voluto come contributo della Chiesa cattolica all'anno della pace indetto dall'Onu - il richiamo alla visita del Santo al sultano d'Egitto è diventato un classico “luogo dialogale”. L'episodio dell'ordalìa taciuto da tutti fuorché da Bonaventura, costituirebbe solo la punta di comportamenti non sempre tranquilli e pacifici durante quella visita terminata - occorre certo dirlo - con Francesco che torna ad Assisi vivo e incolume (FF 422). Tra le reliquie del Santo ad Assisi, viene mostrato un bel corno in avorio con ornamenti d'argento (aggiunti in seguito) che Francesco avrebbe avuto in dono dal Sultano. I vari racconti dipingono Francesco un risoluto missionario che confessa la propria fede cristiana in modo vigoroso e chiaro, ammessa o non ammessa come storicamente vera la sfida del fuoco proposta dal santo mai equivoco sul suo credo. Il clima polemico dei secoli XIII e XIV permise e giustificò nell'arte delle chiese francescane la replica della raffigurazione della visita al “Soldan superba” (Dante, FF 2110) nei soli termini conflittuali dell'ordalìa, causa l'autorità assoluta sia del testo bonaventuriano come di quello di Giotto all'opera ad Assisi e Firenze (Santa Croce). Gli storici dell'arte hanno largamente provato quanto il testo dipinto di Assisi abbia fatto da archetipo a pittori intenti a presentare al pubblico nelle chiese francescane la vita del Santo inequivocabilmente “tutto cattolico e apostolico” (Liturgia del 4 ottobre).
(Padre Pasquale Magro)

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