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Francesco è un diluvio che graffia l'anima

Roberto Pacilio
Pubblicato il 30-11--0001

La marcia della pace che sapore ha?

È un grido che ancora una volta dobbiamo alzare tutti insieme. Abbiamo camminato non solo accanto, ma insieme, perché la pace va percorsa, ha bisogno del contributo e del sano protagonismo di tutti. Non si può essere oggi cittadini a intermittenza. Non ci si può solo commuovere quando tocchiamo con mano le grandi tragedie, non basta commuoversi, bisogna muoversi di più tutto, abbiamo bisogno di pace. Ma la pace ci ricorda che non c’è solo una guerra fatta con le armi, ma c’è anche una guerra silenziosa di un’economia, come Papa Francesco ci ha ricordato, che uccide. Una guerra silenziosa che ha messo ai margini molte persone fragili, deboli. Una guerra silenziosa che sta assassinando la speranza perché sta togliendo la dignità e la libertà attraverso lo strumento fondamentale del lavoro. È una guerra che vede questo bisogno di un cibo che deve essere accessibile a tutti sulla faccia di questa Terra, perché si continua a morire di fame e di sete. Ma c’è anche una fame di giustizia, di legalità, di dignità, di diritti. E allora noi camminiamo insieme, andiamo anche di corsa per costruire i percorsi che diano veramente la libertà e la dignità a tutte le persone. E devo dire che in queste sacche, in questi vuoti del nostro Paese vince il gioco criminale mafioso. Tra il 1992 e il 2014 la guerra di mafia ha fatto 3.500 morti, e nessuno ne parla, ma non possiamo dimenticare i morti-vivi, persone che vivono ma sono vittime di ricatti, di forme di usura, sono vittime di forme di corruzione, sono vittime di questi traffici di affari sporchi, delle eco-mafie, di quella terra di fuochi che ha contaminato e distrugge la vita di tante persone. La tratta, lo sfruttamento dei ragazzi nel mondo della prostituzione, il traffico di sostanze stupefacenti, giochi sporchi di appalti. E allora dobbiamo fermarci a riflettere, c’è bisogno di pace, e la pace comincia in questo orizzonte di normalità, di quotidianità e comincia creando delle condizioni di cambiamento nei nostri territori, nei nostri percorsi, nella nostra quotidianità.

Ci sono oggi tantissimi bambini che vengono dalle scuole italiane, bisogna partire proprio dalle scuole per illuminare le periferie?

Certo, Papa Francesco lo ha sottolineato appena eletto Pontefice, ha gridato con forza “andate nelle periferie, andate dove c’è la sofferenza, la fatica, chi è calpestato nella sua dignità, nei diritti, chi è messo ai margini”. Ma ci ha anche ricordato di andare verso le periferie dell’anima. Quanta gente vive l’anoressia esistenziale, il bisogno di riempire la vita di vita? E soprattutto è un invito a vivere e a non lasciarsi vivere, travolgere da altre cose che non danno il vero significato e che non riempiono la vita di quei valori fondamentali per guardare oltre. Siamo chiamati a saldare veramente la Terra con il Cielo, a non dimenticarci delle beatitudini, di non dimenticarci di quella fame-sete di giustizia che ha bisogno qua giù, innanzitutto e comincia dalla prossimità dall’incontro, dall’accompagnarci, dal costruire alleanze tra di noi, da un’accoglienza reciproca tra i gruppi, i movimenti, le associazioni. Nel nome della pace non possiamo mai dividerci, ma dobbiamo trovare il modo del dialogo, dell’ascolto, dell’accoglienza, delle alleanze, della reciprocità. Perché la prima dimensione della giustizia è proprio la prossimità.

Cosa rappresenta per lei San Francesco?

È un diluvio di speranza, è soprattutto quel graffiare nella coscienza, l’invito ad essere umili, a scegliere quella povertà interiore e di lottare contro quelle povertà che mettono ai margini le persone. È l’invito a camminare, e a camminare insieme, non a camminare accanto ma a camminare insieme. È la testimonianza di come si può saldare la Terra con il Cielo, imparando il coraggio di avere più coraggio e soprattutto cercando delle verità. Abbiamo bisogno di verità, perché senza verità non si può costruire giustizia

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