francescanesimo

La povertà di Francesco d’Assisi

Enrico Menestò
Pubblicato il 15-12-2017

La vocazione di Francesco trovò un nome preciso che l’avrebbe caratterizzata per sempre: povertà come perfetta imitazione di Cristo

La povertà di Francesco ha un suo specifico e preciso volto, è una scelta essenzialmente evangelica; essa non precede ma segue la scelta primaria di totale adesione al Cristo. Francesco, infatti, non vuole essere soltanto povero, ma conforme a Cristo: la sequela Christi – come dimostra la sua biografia dopo la conversione – è lo spogliarsi dei beni, è il non sentirsi padrone di alcunché, è la rinuncia a qualsiasi avere, dal momento che ogni forma di possesso può essere strumento o simbolo di potere.

I suoi fratres Minores sono tali non tanto perché non possiedono nulla, perché sono completamente privi di qualsiasi elemento di supremazia; essi potranno e dovranno subire il dominio degli altri, ma non potranno, a loro volta, esercitare il dominio su nessuno. La vera povertà dinanzi agli uomini consiste nell’incapacità di difendersi di fronte alla violenza, alla aggressività del potere, in primo luogo quello della ricchezza. Ogni emarginazione nasce dalla violenza, ed ogni violenza produce emarginazione. Francesco propone un modello di vita cristiana in cui l’espressione terrena non sia il potere, ma il suo rifiuto.

Francesco vive il totale spoliamento di sé, nell’assoluta consapevolezza che povero è colui che ha perduto se stesso nella totale identificazione mistica con il divino. In lui, grazie alla perfetta imitazione del suo modello, è infatti una straordinaria forza carismatica, che lo fa apparire ai contemporanei come la reincarnazione di Gesù di Nazareth. Francesco diventa altro Cristo perché imita il Cristo nella sua sofferenza; egli si spoglia di tutto e riceve le stimmate per essere uguale al Dio fatto uomo.

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