fede

Un frate conventuale ha conosciuto 3 santi e ha avuto una profezia da Padre Pio

Gelsomino Del Guercio Rai1 - A Sua Immagine
Pubblicato il 02-06-2018

Il volto incorniciato da una folta capigliatura bianca, e da una altrettanto candida lunga barba, lo fa somigliare a un antico profeta. Ecco padre Giuseppe Ungaro, che il 27 maggio ha compiuto 99 anni. E' lui il frate più anziano del convento di Sant'Antonio a Padova.





A 10 ANNI VOLEVA FARSI MISSIONARIO


«Avevo dieci anni - racconta al Gazzettino - e nel Fioretto del mese di maggio, il parroco di Pontevigodarzere, una volta, predicò sulle missioni, così bene, da coinvolgermi. Andai all'altare della Madonna e dissi di voler andare missionario. L'anno dopo chiesi ai Padri Giuseppini di poter entrare da loro, ma ero troppo giovane, risposero. Allora pensai al Santo e incontrai fra' Ottavio Piccinato, che mi chiese se volessi farmi frate missionario. È quello che cercavo, risposi»...


DA LATINA A VENEZIA


Fra Ungaro, si legge sul Messaggero di Sant'Antonio, prima di risiedere a Padova ha organizzato, per ben trentadue anni, le missioni popolari promosse dai francescani conventuali. È stato parroco per ventisei anni: prima a Sabaudia e Borgo Vodice (Latina) e poi ai Frari (Venezia).


SVEGLIA ALLE 3:30

Oggi le sue giornate sono particolarmente intense: sveglia alle 3.30 del mattino, poi in Basilica per la preghiera e l’adorazione che si conclude con la Messa conventuale. Seguono gli incontri con le famiglie in difficoltà, con le persone uscite di prigione (è anche assistente in carcere) e con quanti hanno bisogno di un consiglio e un aiuto. «Perché ogni uomo e donna ha la propria dignità. E va difesa. E in tutti vi è la presenza di Gesù».


I TRE SANTI


Nella sua vita, tutta improntata al Vangelo e alla carità, ha conosciuto tre santi della famiglia francescana: Massimiliano Kolbe, Pio da Pietrelcina e Leopoldo Mandic ́.

"TU NON PARTIRAI"

Durante la sua permanenza a Sabaudia (negli anni del secondo dopoguerra) ha conosciuto padre Pio. «Mi recavo spesso a San Giovanni Rotondo per confessarmi da lui – spiegava sempre al Messaggero Fra Ungaro – Alcune volte ho dormito nel convento dei cappuccini e ho potuto incontrarlo».

«Il mio desiderio – aggiungeva – era quello di partire in missione. Ma fu proprio lui, durante una confessione, a predire che ciò non sarebbe avvenuto: “Tu non andrai mai in missione”. Subito dopo, infatti, scoppiò la guerra. Mi ripeteva spesso: “Peppì, ad impossibilia nemo tenetur (nessuno è tenuto a fare cose impossibili)”.


«Ancor oggi sento riecheggiare quelle sue parole. Un giorno entrai nella sua stanza, gli strinsi le mani segnate dalle stigmate e gli chiesi se gli facevo male. Lui, quasi a proteggerle, mi rispose con il suo caratteristico tono di voce: “Peppì, Dio non mi ha mica dato queste stigmate per divertimento”».


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IL VOTO DEL FUMO

Con padre Massimiliano Kolbe, conventuale martirizzato ad Auschwitz nel 1941, fra Giuseppe ha avuto più di un incontro. «Era un uomo mite, umile, molto silenzioso». Il frate ha confidato anche un voto fatto su invito di padre Kolbe. «Lo chiedeva ai novizi ed era quello di non fumare». Una promessa che dice di aver mantenuto.


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UNA IMMENSA UMILTA'


Di padre Leopoldo, cappuccino del convento padovano di Santa Croce, ricorda la grande umiltà, la semplicità, ma anche l’umanità e la saggezza d’animo. Nel 1938 gli fu assegnato l’incarico di confessore «ordinario» dei minori conventuali.


«Ogni mercoledì veniva in Basilica a confessare i frati al Santo. Per prima cosa si recava a pregare alla tomba di sant’Antonio e vi ritornava al termine delle confessioni, affidando al Santo preoccupazioni, promesse e speranze. Era esilissimo, alto un metro e 35 centimetri».


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