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Spezzare il pane, versare il vino. La storia di Don Pietro Sigurani e le porte aperte della chiesa

ORAZIO LA ROCCA
Pubblicato il 06-06-2018

a Basilica di Sant'Eustachio, una rettoria, guidata da don Pietro Sigurani, che è diventata il punto di ritrovo per tutti i bisognosi che gravitano nel cuore del centro storico

Spezzare il pane, versare il vino. Gesti fondamentali della fede cristiana che si rifanno all'istituzione dell'Eucarestia di Gesù nell'Ultima Cena tra i 12 apostoli e che da oltre 2 mila anni sono il cuore delle celebrazioni liturgiche. Ma sono anche gesti quotidiani che vengono compiuti quando si pranza, quando si consumano pasti da soli, in compagnia, nelle scampagnate, nelle pause durante gli orari di lavoro.

 Ma chi non ha niente da mangiare difficilmente potrà farlo se lasciato solo.

Per bisognosi, poveri e senza fissa il simbolico rito dello spezzare il pane e del versare il vino viene svolto da quella fitta rete di volontari che, ad esempio, specialmente in grandi città come Roma o Milano, operano intorno alle Caritas diocesane e parrocchiali, ad organismi come la Comunità di Sant’Egidio, nelle mense sociali attivate da religiosi (con i francescani tra i più attivi), da realtà appartenenti a istituzioni evangeliche (Esercito della Salvezza). In genere, organismi in gran parte del mondo cattolico che operano attraverso la stipula di convenzioni con istituzioni statali.



A Roma però, a due passi dai grandi palazzi della politica come il Senato e la Camera dei deputati, c'è una realtà che, in un certo senso, è controcorrente. Nel senso che ogni giorno distribuisce gratuitamente centinaia di pasti senza chiedere niente a nessuno, facendo leva solo sugli aiuti che puntualmente arrivano da anonimi benefattori, ristoratori della zona che, invece di buttare gli “avanzi”, regalano il superfluo alla chiesa. È la Basilica di Sant'Eustachio, una rettoria, guidata da don Pietro Sigurani, che è diventata il punto di ritrovo per tutti i bisognosi che gravitano nel cuore del centro storico e a stretto contatto con il Parlamento che, purtroppo, finora non è mai riuscito, con interventi legislativi ad hoc, a debellare lo scandalo della miseria.



A Sant’Eustachio non si fa elemosina, si guarda semplicemente ai bisogni dell'uomo, è solito spiegare don Sigurani, secondo gli insegnamenti del Vangelo di Cristo e in applicazione delle esortazioni di papa Francesco che, fin dalla sua elezione papale, ha chiesto alle Chiese di aprire le porte e ai sacerdoti di stare in mezzo alla gente, specialmente a chi soffre, come un ospedale da campo dopo una battaglia. A Sant’Eustachio, prendendo alla lettera le parole del Papa, si curano i bisognosi e quanti bussano alla porta per essere aiutati, a partire dal sostentamento del corpo con i pranzi gratuiti quotidiani, che spesso e volentieri prevedono anche dolcetti e liquorini finali, perché “il corpo va curato sia col cibo che con i dolci”, assicura don Pietro.



E così quasi ogni giorno, tra gli ospiti che vengono accolti a Sant’Eustachio, capita di sentire domande del tipo: «Oggi cosa c’è per dolce? C'è un amaro? Il caffè? Quanto mi manca il profumo del caffè!» Il caffè è oramai un lusso per tutti coloro che non riescono ad avere neanche un pasto caldo durante la giornata.



Ma nel cuore di Roma, mentre senatori e deputati sono alle prese con problematiche di ben altra natura, nella Basilica di Sant’Eustachio è un lusso che viene offerto a tutti i poveri, invitati a consumare in compagnia il pranzo e un dolce. Quasi un miracolo della Divina Provvidenza che avviene verso le 12.00 quando i poveri, confusi con i turisti, si ritrovano davanti all’entrata della Basilica e attendono pazientemente che don Pietro Sigurani apra la chiesa e li inviti ad entrare accogliendo tutti con uno spontaneo sorriso e gesti di amicizia.



Ad un gesto del parroco gruppi di volontari trasformano la navata centrale in una perfetta ed accogliente sala mensa, per dare il via al quotidiano “ristorante in chiesa”. Sono in tanti, ogni giorno, a collaborare per servire circa 170 pasti. Don Pietro non ha un elenco preciso dei volontari addetti al suo personalissimo “ristorante”: chiunque ne ha voglia – spiega – può presentarsi e dare una mano. «Tutto ciò va avanti solo e unicamente con le offerte, non accettiamo contributi pubblici», aggiunge con comprensibile soddisfazione il sacerdote. Il pasto termina con un dolce, o una cioccolata, un amaro, cioè – tiene a puntualizzare don Sigurani – «con qualche cosa che parli al cuore, ma che faccia anche sentire ciascuno di loro come un gradito ospite a tavola».



L’idea di dare vita al “ristorante in chiesa” a due passi dai palazzi della politica, nasce proprio dal santo a cui è dedicata la chiesa: Sant’ Eustachio che, fin da quando era pagano, ha dato da mangiare a chi ne aveva bisogno. Successivamente, nel Medioevo, questa Basilica divenne un punto di sosta per molti pellegrini del Giubileo, i quali avevano il diritto di essere ospitati per tre giorni, trovando un rifugio e del cibo. Con il tempo questa tradizione si è persa: «Prima la chiesa rimaneva chiusa, ora è aperta ai poveri che mangiano e ai turisti meravigliati. Diventa perciò un mezzo per testimoniare che il Vangelo è possibile viverlo».



L’obiettivo di don Pietro è riportare i poveri al centro. Al centro del potere politico, economico e del cuore delle persone. «Inizialmente in tanti hanno visto con molta paura e pregiudizio questo mio progetto, ma dopo ho ricevuto grande solidarietà sia dalla rappresentanza politica che dai commercianti del quartiere, che mi hanno anche ringraziato per aver ridato vita al quartiere». Per rispondere al gran numero di richieste, che ogni giorno arrivano ai volontari di sant’Eustachio, è nata l’associazione “Sant’Eustachio – I Poveri al centro”, con lo scopo di accogliere le persone svantaggiate, dar loro sostegno e ascolto. «Inizialmente sono stato criticato, ma adesso tutti mi aiutano. Soprattutto quando mi manca del cibo», ricorda don Pietro, che ora sta aspettando gli ultimi permessi per organizzare il progetto definitivo per una accoglienza “globale”.

Alla Basilica arrivano persone da realtà diverse: «Sono Rom, clochard, senza fissa dimora stranieri e italiani: qui non si chiedono i documenti, si chiede solo se hanno bisogno di aiuto e se hanno fame. Sono ospiti. E quando arrivano a Sant’ Eustachio sono a casa».


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