fede

Papa Francesco: la pace non è priva di sofferenze o delusioni

Redazione online Ansa - Osservatore Romano
Pubblicato il 30-11--0001

E' un «dono» e si basa sulla «sicurezza» che «anche nei momenti più duri e sconvolgenti, la misericordia e la bontà del Signore sono più grandi di ogni cosa

La pace «non va intesa come l’assenza di preoccupazioni, di delusioni, di mancanze, di motivi di sofferenza», perché è un «dono» e si basa sulla «sicurezza» che «anche nei momenti più duri e sconvolgenti, la misericordia e la bontà del Signore sono più grandi di ogni cosa». Lo ha sottolineato il Papa all’udienza generale in Aula Paolo VI, proseguendo un ciclo di catechesi sulla «speranza cristiana». Una speranza, ha rimarcato Francesco, che «non delude» perché fondata sull’amore «che Dio stesso nutre per ciascuno di noi».



«Fin da piccoli», ha esordito il Papa, «ci viene insegnato che non è una bella cosa vantarsi. Ed è giusto, perché vantarsi di quello che si è o di quello che si ha, oltre a una certa superbia, tradisce anche una mancanza di rispetto nei confronti degli altri, specialmente verso coloro che sono più sfortunati di noi. In questo passo della lettera ai Romani, però, l’apostolo Paolo ci sorprende, in quanto per ben due volte ci esorta a vantarci. Di cosa allora è giusto vantarsi? E come è possibile fare questo, senza offendere, senza escludere qualcuno?». Il vanto deriva, innanzitutto, dalla consapevolezza che «tutto è grazia» e «se facciamo attenzione, infatti, ad agire – nella storia, come nella nostra vita – non siamo solo noi, ma è anzitutto Dio». 



San Paolo però «ci esorta a vantarci anche nelle tribolazioni. Questo ci risulta più difficile e può sembrare che non abbia niente a che fare con la condizione di pace appena descritta. Invece ne costituisce il presupposto più autentico, più vero. Infatti, la pace che ci offre e ci garantisce il Signore non va intesa come l’assenza di preoccupazioni, di delusioni, di mancanze, di motivi di sofferenza. Se fosse così, nel caso in cui riuscissimo a stare in pace, quel momento finirebbe presto e cadremmo inevitabilmente nello sconforto».



La «pace che scaturisce dalla fede», ha proseguito Jorge Mario Bergoglio, «è invece un dono: è la grazia di sperimentare che Dio ci ama e che ci è sempre accanto, non ci lascia soli nemmeno un attimo della nostra vita. E questo, come afferma l’Apostolo, genera la pazienza, perché sappiamo che, anche nei momenti più duri e sconvolgenti, la misericordia e la bontà del Signore sono più grandi di ogni cosa e nulla ci strapperà dalle sue mani e dalla comunione con lui. Ecco allora perché la speranza cristiana è solida, ecco perché non delude, mai delude. Non è fondata su quello che noi possiamo fare o essere, e nemmeno su ciò in cui noi possiamo credere. Il fondamento della speranza cristiana è ciò che di più fedele e sicuro possa esserci, vale a dire l’amore che Dio stesso nutre per ciascuno di noi». 



«È facile – ha sottolineato il Papa – dire “Dio ci ama”, tutti lo diciamo, ma pensate un po’: ognuno di noi è capace di dire: “sono sicuro, sono sicura che Dio mi ama”? Non è tanto facile dirlo – ma è vero! È un buon esercizio, dirsi: Dio mi ama, e questa è la radice della nostra sicurezza, la radice della speranza. E il Signore ha effuso abbondantemente nei nostri cuori il suo Spirito santo, che – ha messo in evidenza Francesco – è l’amore di Dio, come artefice, come garante, proprio perché possa alimentare dentro di noi la fede e mantenere viva questa speranza, e questa sicurezza: Dio mi ama. “Ma in questo momento brutto?”, Dio mi ama. “E a me che ho fatto questa cosa brutta e cattiva?”, Dio mi ama. Questa sicurezza non ce la toglie nessuno, e dobbiamo ripeterla come preghiera, “sono sicuro che Dio mi ama, sono sicura che Dio mi ama”».



«Adesso – ha concluso il Papa – comprendiamo perché l’Apostolo Paolo ci esorta a vantarci sempre di tutto questo. Io mi vanto dell’amore di Dio perché mi ama. La speranza che ci è stata donata non ci separa dagli altri, né tanto meno ci porta a screditarli o emarginarli. Si tratta invece di un dono straordinario del quale siamo chiamati a farci “canali”, con umiltà e semplicità, per tutti. E allora il nostro vanto più grande sarà quello di avere come Padre un Dio che non fa preferenze, che non esclude nessuno, ma che apre la sua casa a tutti gli esseri umani, a cominciare dagli ultimi e dai lontani, perché come suoi figli impariamo a consolarci e a sostenerci gli uni gli altri. E non dimenticatevi: la speranza non delude, d’accordo?».



Tra i saluti in lingua, il Papa ha invitato i fedeli portoghesi a rinnovare la «speranza nel Dio misericordioso che non esclude nessuno e ci invita a essere testimoni del suo amore, particolarmente verso i più bisognosi» e ai pellegrini polacchi ha ricordato che ieri la Chiesa ha celebrato i santi patroni d’Europa, Cirillo monaco e Metodio vescovo: «Questi due fratelli di Salonicco hanno portato il Vangelo ai popoli Slavi. Ancor oggi essi ricordano all’Europa, e a noi tutti, il bisogno di mantenere l’unità della fede, la tradizione, la cultura cristiana e di vivere ogni giorno il Vangelo». 



Tra le associazioni italiane, Francesco ha salutato in particolare “Nessuno escluso” di Taranto, «esortando a promuovere sempre una cultura inclusiva per le persone sole e per i senza fissa dimora». A fine udienza due corali di voci bianche, il Coro Prealpi di Villapedergnano Erbusco e Note Ascendenti di Sant’Eufemia-Lamezia Terme, si sono esibite in alcuni canti protratti a lungo. Francesco, che ha ascoltato visibilmente sorridente, li ha poi ringraziati così: «Quando si vuole una cosa, si fa così: così noi dobbiamo fare con la preghiera, quando chiediamo qualcosa con il Signore, insistere, insistere, insistere. È un bell’esempio di preghiera! Grazie». (Iacopo Scaramuzzi - Vatican Insider)

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