fede

Papa: di fronte a dolore meglio silenzio,carezza, non parole

Redazione online Ansa - Angelo Carconi
Pubblicato il 30-11--0001

Di fronte al dolore, se non siamo capaci di dire parole dal cuore e non dalla testa, "meglio il silenzio, la carezza, il gesto, niente parole". Lo ha detto il Papa nella prima udienza generale del 2017, a proposito della speranza e del dolore, in particolare quello di una madre che ha perso i figli.

Papa Bergoglio ha parlato della figura di Rachele, madre di Giacobbe e Beniamino e morta nel dare alla luce Beniamino, che il profeta Geremia descrive ancora viva, mentre piange per il suo popolo in esilio. Dio, spiega il Papa, ascolta il pianto di Rachele e le sue lacrime "hanno generato speranza. Questo - sottolinea il Pontefice - non è una cosa facile da capire, ma è vero, tante volte nella vita le nostre lacrime seminano speranza, sono semi di speranza".

Geremia, ha spiegato papa Francesco, rappresenta Rachele "come viva a Rama, lì dove si radunavano i deportati, piange per i figli che in un certo senso sono morti andando in esilio; figli che, come lei stessa dice, 'non sono più', sono scomparsi per sempre. E per questo Rachele non vuole essere consolata.

Questo suo rifiuto - ha sottolineato papa Bergoglio - esprime la profondità del suo dolore e l'amarezza del suo pianto. Davanti alla tragedia della perdita dei figli, una madre non può accettare parole o gesti di consolazione, che sono sempre inadeguati, mai capaci di lenire il dolore di una ferita che non può e non vuole essere rimarginata. Un dolore proporzionale all'amore. Ogni madre - ha commentato il Papa - sa tutto questo; e sono tante, anche oggi, le madri che piangono, che non si rassegnano alla perdita di un figlio, inconsolabili davanti a una morte impossibile da accettare. Rachele racchiude in sé il dolore di tutte le madri del mondo, di ogni tempo, e le lacrime di ogni essere umano che piange perdite irreparabili".

"Questo rifiuto di Rachele che non vuole essere consolata - ha osservato il Pontefice - ci insegna anche quanta delicatezza ci viene chiesta davanti al dolore altrui. Per parlare di speranza a chi è disperato, bisogna condividere la sua disperazione; per asciugare una lacrima dal volto di chi soffre, bisogna unire al suo il nostro pianto. Solo così le nostre parole possono essere realmente capaci di dare un po' di speranza. E se non posso dire parole così con il pianto, col dolore, meglio il silenzio, la carezza, il gesto e niente parole".

"Al dolore e al pianto amaro di Rachele, - ha proseguito il Papa - il Signore risponde con una promessa che adesso può essere per lei motivo di vera consolazione: il popolo potrà tornare dall'esilio e vivere nella fede, libero, il proprio rapporto con Dio. Le lacrime hanno generato speranza. Questo - ha detto - non è facile da capire, ma è vero, tante volte nella vita nostra le lacrime seminano speranza, sono semi di speranza".

Papa Francesco, ricordando che "il figlio di Dio è entrato nel dolore degli uomini", ha invitato a "non dimenticare questo; quando qualcuno si rivolge a me e mi fa domande difficili - ha raccontato - per esempio 'ma mi dica padre perché soffrono i bambini?', io non so cosa rispondere, soltanto dico 'ma guarda il crocifisso, Dio ci ha dato il suo figlio, lui ha sofferto e forse Dio troverai una risposta, ma risposta di qua (si tocca la testa, ndr) non ci sono, soltanto guardando l'amore di Dio che dà suo figlio che offre la sua strada per noi, può indicare la sua strada di consolazione".

Per questo, ha spiegato papa Francesco, "diciamo che Dio è entrato nel dolore degli uomini, lo ha condiviso ed ha accolto la morte; la sua Parola è definitivamente parola di consolazione, perché nasce dal pianto". (ANSA).

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