fede

Liberiamoci dai pregiudizi e camminiamo insieme

Redazione online Ansa - Angelo Carconi
Pubblicato il 27-02-2017

Nella Chiesa di All Saints, Francesco invita cattolici e anglicani non rassegnarsi davanti alle divisioni, ma a spendersi per la riconciliazione

Nel passato ci guardavamo «con sospetto e ostilità», oggi «ci riconosciamo come veramente siamo: fratelli e sorelle in Cristo». E come tali - come «amici e pellegrini» - «desideriamo camminare insieme».

Tra le colonne neogotiche e gli archi di marmo della Chiesa anglicana di All Saints, nascosta a via del Babbuino in quello che un tempo era noto come il “quartiere inglese” di Roma, Francesco - il primo Papa a varcarne la soglia - indica la strada per accrescere i rapporti ecumenici tra cattolici e anglicani: un passato da lasciare alle spalle e un futuro da costruire insieme, «liberi dai rispettivi pregiudizi», operando con «umiltà» per le sfide del nostro tempo.

«Siamo vasi di creta», dice Bergoglio nella sua omelia, citando la lettera di San Paolo ai Corinti letta durante la liturgia. Proprio l’Apostolo è la figura di riferimento che indica il Pontefice: «Quando noi, comunità di cristiani battezzati, ci troviamo di fronte a disaccordi e ci poniamo davanti al volto misericordioso di Cristo per superarli, facciamo proprio come ha fatto san Paolo in una delle prime comunità cristiane». Paolo «non ha sempre avuto un rapporto facile con la comunità di Corinto, ma supera le divergenze del passato» e «non si rassegna davanti alle divisioni ma si spende per la riconciliazione».

Punto di partenza è l’umiltà, che «non è solo una bella virtù», ma «una questione di identità», afferma il Papa. «Diventare umili è decentrarsi, riconoscersi bisognosi di Dio, mendicanti di misericordia»: come l’Apostolo delle genti, appunto, che «si comprende come un servitore». E come D.T. Niles, uno dei presidenti del Consiglio Ecumenico delle Chiese, che descriveva l’evangelizzazione cristiana come «un mendicante che dice a un altro mendicante dove trovare il pane». «La sua priorità era condividere con gli altri il suo pane: la gioia di essere amati dal Signore e di amarlo», commenta il Papa.

«Questo - aggiunge - è il nostro bene più prezioso, il nostro tesoro». Un tesoro custodito in un vaso che può facilmente creparsi. San Paolo viene «criticato per le sue debolezze», ma «insegna che solo riconoscendoci deboli vasi di creta, peccatori sempre bisognosi di misericordia, il tesoro di Dio si riversa in noi e sugli altri mediante noi. Altrimenti, saremo soltanto pieni di tesori nostri, che si corrompono e marciscono in vasi apparentemente belli».

Secondo il Papa, anche l’opera che la comunità anglicana capitolina svolge insieme ad altre di lingua inglese per i poveri, i malati e gli emarginati di Roma può essere vissuta in quest'ottica: «Una comunione vera e solida cresce e si irrobustisce quando si agisce insieme per chi ha bisogno», dice, «attraverso la testimonianza concorde della carità, il volto misericordioso di Gesù si rende visibile nella nostra città».

A nome di cattolici e anglicani, Papa Francesco esprime quindi la sua gratitudine «perché, dopo secoli di reciproca diffidenza, siamo ora in grado di riconoscere che la feconda grazia di Cristo è all’opera anche negli altri». «Ringraziamo il Signore - aggiunge - perché tra i cristiani è cresciuto il desiderio di una maggiore vicinanza, che si manifesta nel pregare insieme e nella comune testimonianza al Vangelo, soprattutto attraverso varie forme di servizio».

Il cammino verso la piena comunione a volte «può apparire lento e incerto», ma l'incontro di oggi vuole darvi nuovo impulso: «È una grazia e anche una responsabilità: la responsabilità di rafforzare le nostre relazioni a lode di Cristo, a servizio del Vangelo e di questa città», afferma Bergoglio. Guardando alle vetrate decorate che illustrano la vita dei santi e dei martiri, il Papa conclude: «I Santi di ogni confessione cristiana ci aprano la via per percorrere quaggiù tutte le possibili vie di un cammino cristiano fraterno e comune».

Arrivato puntuale alle 16, dall’entrata in via di Gesù e Maria a bordo della consueta Ford focus, il Pontefice è stato accolto dal reverendo Robert Innes, vescovo anglicano per l’Europa, e dal cappellano David Boardman. Una nutrita folla di fedeli e passanti lo attendeva da alcune ore alla porta principale, dove sventola la bandiera di San Giorgio. Il primo atto nella Chiesa - ex convento agostiniano progettata dal famoso architetto britannico George Edmund Street - è la benedizione di un’icona di Cristo Salvatore appositamente commissionata per il bicentenario di All Saints all’artista Ian Knowles, direttore del Centro icona Betlemme. Francesco la benedice con olio e incenso; con gli altri vescovi, poi, accende una candela. Segue il rinnovo delle promesse battesimali, mente un coro intona inni in inglese e italiano.

Tra i momenti più significativi quello delle domande, alle quali il Papa risponde a braccio. Annunciando che è allo studio un viaggio in Sud Sudan con l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, Papa Francesco risponde a Margherita, studentessa di storia dell’arte alla Sapienza, che chiede di fare il punto sul rapporto tra cattolici e anglicani oggi. «I rapporti tra cattolici e anglicani sono buoni!», esclama di getto Francesco, «ci vediamo come fratelli, ma è vero che nella storia ci sono state cose brutte». Tuttavia non si può «strappare un pezzo della storia e portarlo come fosse un'icona. Non è giusto, va letto nell'ermeneutica della storia. Siamo andati oltre».

Francesco richiama la testimonianza dei Santi: «Mai le due chiese hanno rinnegato i Santi», anche «in tempi brutti e difficili, dove era immischiato il potere politico, economico, religioso, dove c’era quella regola cuius regio o religio…». Anche i monaci, i monasteri «hanno tenuto forti le nostre tradizioni. Sono stati una grande forza spirituale». «Non facciamo tutte le cose uguali, ma camminiamo insieme», sottolinea Bergoglio. La formula che suggerisce è la seguente: «Non so se storicamente si può dire, ma ci aiuterà a capire: due passi avanti e mezzo passo indietro, ma dobbiamo andare avanti. E dobbiamo continuare così. Per il momento va bene, ogni giorno la sua preoccupazione».

Alla seconda domanda di Jane, docente australiana di lingua inglese alla Sapienza che citava il monito di Benedetto XVI sul rischio di dare, nel dialogo ecumenico, la priorità alla collaborazione dell’azione sociale anziché seguire il cammino più esigente dell'accordo teologico, Bergoglio replica: «Non conosco il contesto nel quale Benedetto XVI ha detto questo ed è difficile per me rispondere». Cita allora «il famoso scherzo» di Atenagora a Paolo VI: «Noi facciamo l’unità tra noi e mettiamo tutti i teologi su un’isola perché pensino».

Qual è il nocciolo? «Quello che ha detto Benedetto è vero: bisogna cercare il dialogo teologico per cercare radici su sacramenti e altre cose su cui non siamo d’accordo», spiega il Papa argentino. «Ma questo non si può fare in laboratorio, si deve fare camminando… Siamo in cammino e in cammino facciamo anche queste discussioni». Nel frattempo «ci aiutiamo nelle nostre necessità, nella nostra vita, nel servizio alla carità, ai poveri, agli ospedali, nelle guerre. Il dialogo ecumenico si fa in cammino, e le cose teologiche si discutono in cammino».

Infine il Vescovo di Roma, incoraggiato da Ernst, seminarista nigeriano presto diacono, plaude alla «vitalità» e «creatività» delle chiese giovani del sud del mondo, dalle quali - afferma - può prendere esempio la chiesa in Europa. «Le Chiese giovani hanno una vitalità diverse perché sono giovani. Cercano un modo di esprimersi diversamente. Per esempio, una liturgia qui a Roma o a Londra o Parigi non è lo stessa di una» in Africa.

Le chiese giovani, inoltre, «hanno bisogno di collaborare»: da loro «l’ecumenismo è più facile», ammette il Pontefice. Ciò non significa essere «superficiali», «non negoziano la fede». Semplicemente «hanno più coraggio di noi non tanto giovani». E questo può portare «una ricchezza» all’Europa, che, da parte sua, ricambia con una «tradizione più solida nella ricerca teologica, una chiesa più matura, “invecchiata” nella ricerca dello studio della storia, della teologia e della liturgia». Proprio per questo, secondo il Papa, «farebbe bene inviare alcuni seminaristi a fare esperienze pastorali nelle chiese giovani e viceversa. Sarebbe una grande ricchezza».

Al termine della funzione, viene firmato un accordo che formalizza un gemellaggio tra la Chiesa di All Saints e la parrocchia cattolica di Ognissanti in via Appia Nuova. «Un bel segno», commenta il Papa, della volontà di procedere verso la piena comunione. Un altro “bel segno” sono i doni consegnati al Papa. La comunità anglicana offre i suoi prodotti tipici: marmellate di arance fatte in casa ed il “Simnel cake”, una torta sopra la quale ci sono 11 palline di pasta lievitata, simbolo dei dodici apostoli meno Giuda. Il vescovo Boardman annuncia pure che verrà offerta una cena a nome del Papa per i poveri del quartiere Ostiense, mentre verranno consegnate 50 copie della Bibbia in inglese alle suore che si occupano di giovani prostitute dell'ovest dell'Africa, vittime della tratta.

Al termine della visita, si è verificato un incidente nel cordone che seguiva il Papa di ritorno in Vaticano: due agenti sono finiti a terra dalle loro moto a causa di un’auto che aveva effettuato una manovra azzardata. I poliziotti sono stati prontamente soccorsi e trasportati al vicino ospedale Santo Spirito per gli accertamenti. (SALVATORE CERNUZIO - Vatican Insider)

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