fede

La storia del ritrovamento della Croce di Gesù

Antonio Tarallo Freepik
Pubblicato il 04-04-2019

Continua il viaggio attraverso le reliquie della Passione di Cristo che “San Francesco, patrono d’Italia” sta proponendo ai lettori. Precedentemente, abbiamo analizzato la storia della Scala Santa, oggi, vedremo l’affascinante vicenda del ritrovamento della Croce di Gesù.

La reliquia del sacro legno, sarebbe stata ritrovata a Gerusalemme nell'anno 327-328 dalla madre dell'imperatore romano Costantino I, Flavia Giulia Elena, Sant’Elena. Secondo la tradizione cristiana, la Croce sarebbe stata in parte conservata a Gerusalemme, in parte a Costantinopoli e in parte a Roma. Dobbiamo a lei, a Sant’Elena, buona parte delle reliquie – ancora oggi conservate tra la Terra Santa e Roma – che parlano della vita di Gesù. E’ assai interessante vedere come ci presenta questa importante donna, Sant’Ambrogio nel suo “De obitu Theodosii”, intenta nella ricerca della Croce:

“Si recò sul Golghota, i soldati videro quella vecchia donna, quella vecchia madre aggirarsi e inginocchiarsi tra le macerie – Ecco il luogo della battaglia: dov’è la vittoria? Io sono sul trono e la croce del Signore nella polvere? Io sono in mezzo all’oro e il trionfo di Cristo tra le rovine? Vedo cosa hai fatto, o diavolo, perché fosse seppellita la spada che ti ha annientato!”.


La donna, arrivando in quel luogo, cominciò a pregare e a supplicare Dio di esaudire i suoi voti. La ricerca continuava. Finalmente un giorno individuò il punto esatto dove la S. Croce era sepolta. Fece scavare lì, sotto quella terra, fino a quando comparve una tavola. Era l’“elogium” scritto da Pilato, la tavola appesa alla croce che indicava il motivo della condanna a morte del Nazareno. Mentre la donna baciava piangendo il “titolum”, i muratori riuscirono a estrarre dalla terra anche tre croci, e gli elogi dei due ladroni. Ma sorgeva un problema: quale delle tre croci era quella del figlio di Dio? E, così, come ci dice lo storico Rufino nella sua monumentale “Historia Ecclesiastica”, avvenne che il Vescovo di Gerusalemme, Macario, ebbe un’intuizione per sciogliere l’enigma. Fece portare le tre croci a casa di una donna malata da tempo, e pronunciò questa preghiera:  “Signore, tu che hai concesso la salute al genere umano, per la morte di croce del Figlio Tuo Unigenito, e che hai ispirato alla tua serva Elena di cercare il legno beato dove fu sospesa la nostra salvezza, indicaci con evidenza quale delle tre croci che sono qui, servì per la gloria divina, e quali furono supplizio dei malfattori. Fa che questa donna, che giace sul letto malata, al tocco del legno santo, sorga subito dalla morte imminente, alla vita”. Dopo aver toccato la donna con la prima e la seconda croce senza nessun risultato, al tocco della terza croce, la donna guarì subito, alzandosi dal letto e glorificando il Signore.


Secondo la tradizione, già poco dopo il ritrovamento, diversi furono i frammenti staccati dalle principali reliquie della Croce, e furono largamente distribuiti. S. Elena fece poi tre grandi parti della Croce di Cristo. Una fu lasciata a Gerusalemme, un’altra fu spedita al figlio Costantino – che la fece mettere nella sua statua eretta nel foro di Costantinopoli (ora perduta) – e la terza la portò con sé a Roma.

Proprio con l’intento di custodire a Roma, la sacra reliquia, Sant’Elena pensò di far costruire una basilica dove sorgevano prima i suoi palazzi, sul monte Esquilino. La basilica dal nome “Santa Croce in Gerusalemme” nasce, dunque, fin dall'inizio, come un grande reliquiario. La basilica viene detta "in Gerusalemme" poiché alla base delle sue fondamenta, venne posta della terra consacrata proveniente dal monte Calvario, terra trasportata dalle navi della madre di Costantino, assieme alle stesse reliquie della Croce. Per questo la chiesa fu chiamata, fin dal medioevo, semplicemente “Hierusalem”. Per la devozione popolare, visitare questa basilica significava mettere piede nella terra di Gesù. La Città Eterna ospitava, così, una parte della Città Santa.

Ancora oggi, la basilica romana, è oggetto di devozione popolare, e rimane – senza dubbio – una delle mete preferite dei numerosi pellegrinaggi romani.

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