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L’anello nuziale di Maria: la storia, le origini

Antonio Tarallo web
Pubblicato il 20-05-2019

In tutta Europa si contano altri due anelli, oltre a quello di Perugia

Fede, Devozione popolare, Storia, tutto questo si confonde nella reliquia del sacro anello nuziale che sarebbe appartenuto a Maria. E il verbo al condizionale è d’obbligo. Pochi sanno che questa importante reliquia si trova a pochi passi da Assisi, nella cattedrale di Perugia, la Cattedrale di San Lorenzo.



Secondo la tradizione, la Vergine lo avrebbe consegnato all’apostolo Giovanni prima di morire. Poi non si sa come arrivò nelle mani di un commerciante di Gerusalemme. Successivamente fu venduto a un orafo di Chiusi.

In tutta Europa si contano altri due anelli, oltre a quello di Perugia. Quello di fidanzamento che era conservato, prima del rogo, nella Cattedrale di Notre-Dame a Parigi, e quello detto "giornaliero" conservato a Messina nella chiesa di San Giuseppe.



L’analisi gemmologica, condotta nel 2004, l’ha determinata come calcedonio, varietà microcristallina del quarzo. La tradizione attribuisce senza reale fondamento e questo bellissimo monile sia l’anello di nozze tra Maria e Giuseppe. Le ragioni che ne hanno fatto il simbolo del matrimonio di Maria, sono comunque non ben chiare. La funzione dell’anello, date le sue caratteristiche (forma, materiale, peso), sembra piuttosto avvalorare la tesi che si tratti di un anello-sigillo, risalente, probabilmente, al primo secolo d. C., proveniente pare dall’oriente.



Di certo, sappiamo, che l’anello fino alla seconda metà del 1400 era custodito nella chiesa dei francescani di Chiusi. Fu prelevato da qui da un certo frate Vinterio da Magonza, portato a Perugia nel 1473, donato al Magistrato della città Francesco Montesperelli, che lo fece conservare nella Cappella dei Decenviri al Palazzo dei Priori. Nella vertenza che seguì tra Chiusi e Perugia per il possesso del S. Anello, il Papa Sisto IV, amico di Perugia dove aveva risieduto per gli studi, favori la città umbra. Nel 1488 il Santo Anello viene solennemente trasferito nella Cattedrale di San Lorenzo.



Le casseforti sono mascherate da un frontale in legno somigliante ad un armadio a quattro ante. La prima protezione è una maglia di ferro fatta dai fabbri di Montemelino. La seconda protezione è un massiccio baule in legno, al cui interno si trova un prezioso reliquiario opera (1517) di Giulio Donati e Cesarino del Roscetto, diviso in due parti; nella parte superiore è contenuto l’anello. All’interno della cassaforte viene conservato anche un cuore d’oro donato dalla città di Perugia nel 1716 per ottenere la cessazione di un’epidemia di peste. Quest’ultima notizia ci viene fornita da una documentazione pergamena, contenuta all’interno del cuore stesso. Per l’apertura delle casseforti bisogna mettere insieme 14 chiavi, un tempo conservate da istituzioni civili e religiose: il Comune, il Collegio della Mercanzia, il Collegio del Cambio; i maggiori conventi della città, S. Francesco al Prato, S. Domenico. S. Maria Nuova, S. Agostino; il Vescovo e i Canonici della Cattedrale. Oggi sono riunite nelle mani del comune, della Mercanzia, del Cambio e del capitolo della cattedrale. L’apertura avviene solo in presenza un rappresentante del comune e del capitolo, redigendo un verbale.



Si fa cenno all’anello, almeno in maniera ufficiale, in un documento redatto dall’allora cancelliere comunale di Chiusi Leonetto Cavallini, il 25 maggio 1474.

Questa reliquia, veniva esposta alla venerazione dei fedeli tre volte all’anno: il lunedì di Pentecoste, detta anche festa di Pascuccia rosata; il 3 luglio, festa patronale di Santa Mustiola; ed il 3 agosto, per i pellegrini di ogni parte d’Italia di ritorno da Assisi, dove si recavano per ottenere l’indulgenza del Perdono.



Quello che segue è un documento-racconto, redatto da padre Giovanni Crisostomo Trombelli (che rintracciò una stesura della narrazione di come giunse a Chiusi il Santo Anello. Si tratta di un documento, quello di padre Trombelli, risalente a un codice dell’undicesimo secolo, conservato nella Biblioteca Angelica di Roma. Nell’anno 1765, con licenza dei superiori, il sacerdote lo trascrisse e lo pubblicò nel suo volume: “Mariae sanctissimae vita ac gesta”.

“Ugo di Tuscia, duca di Toscana dal 961, aveva sposato una nipote dell’imperatore Ottone III di nome Giuditta. Entrambi amanti di gioielli e pietre preziose. In quel tempo viveva a Chiusi un certo Ainerio, orefice esperto e uomo di fiducia di questi nobili per i loro acquisti di una certa importanza. Ainerio, nel 985, ebbe notizia che un giudeo romano, di ritorno dall’oriente, aveva portato con se ori, gioielli e pietre preziose. Informò subito la contessa di quello che aveva saputo, ed ella, dopo averlo rifornito di denaro, lo inviò a Roma perché potesse acquistare per lei della buona merce. L’orefice partì e una volta giunto a Roma comprò tanta roba fino ad esaurire tutti i soldi che gli erano stati affidati. Il Giudeo, ad affari conclusi, come premio per tutti quegli acquisti, volle regalare ad Ainerio un anello in onice di modesta fattura. Lui lo guardò sprezzante e gli chiese se avesse voluto prenderlo in giro. “No”, replicò il giudeo, “non disprezzarlo, perché al mondo non esiste tanto denaro che potrebbe comprarlo. Questo è l’anello col quale Giuseppe sposò Maria di Nazareth. Mi è stato tramandato dai miei avi e benché noi non aderiamo al Cristianesimo, lo abbiamo sempre conservato con devozione. Era da qualche tempo che volevo farne dono ai cristiani. Chi meglio di voi potrebbe serbarlo con onore? Riponilo in un luogo degno e siategli devoti”.



Da quel momento in poi, l’anello sarà conservato “con onore”, e sarà oggetto di devozione di molti pellegrini.


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