fede

Il dogma di Pio IX sull’Immacolata Concezione

Antonio Tarallo
Pubblicato il 09-12-2018

“Dio ineffabile, le vie del quale sono la misericordia e la verità; Dio, la cui volontà è onnipotente e la cui sapienza abbraccia con forza il primo e l'ultimo confine dell'universo e regge ogni cosa con dolcezza (…)(Maria, n.d.r). giglio tra le spine; terra assolutamente inviolata, verginale, illibata, immacolata, sempre benedetta e libera da ogni contagio di peccato, dalla quale è stato formato il nuovo Adamo; giardino delle delizie piantato da Dio stesso, senza difetti, splendido, abbondantemente ornato di innocenza e di immortalità e protetto da tutte le insidie del velenoso serpente; legno immarcescibile che il tarlo del peccato mai poté intaccare; fonte sempre limpida e segnata dalla potenza dello Spirito Santo; tempio esclusivo di Dio; tesoro di immortalità; unica e sola figlia, non della morte, ma della vita; germoglio di grazia e non d'ira che, per uno speciale intervento della provvidenza divina, è spuntato, sempre verde e ammantato di fiori, da una radice corrotta e contaminata”.

 

Così, inizia il decreto “Ineffabilis Deus” di Pio IX, in merito al dogma dell’Immacolata Concezione. Un dogma che – come dice lo stesso documento – “sostiene che la beatissima Vergine Maria fin dal primo istante della sua concezione, per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in vista dei meriti di Gesù Cristo, salvatore del genere umano, è stata preservata immune da ogni macchia di peccato originale, è stata rivelata da Dio e perciò si deve credere fermamente e inviolabilmente da tutti i fedeli”. In questo importantissimo e fondamentale scritto del pontefice Mastai Ferretti,  è curioso trovare l’aggettivo “immacolata” ben trentaseivolte.

Questa la leggenda : al termine della lettura del decreto sull’Immacolata, un raggio di sole, entrò dal finestrone della Basilica di San Pietro, investendo pienamente, in un cono di luce eterea,   il sommo pontefice. Era l’otto dicembre del 1854. Era stato ormai “dichiarato, pronunziato e definito” (questa la formula ufficiale da parte della Chiesa per questioni importanti come un “dogma”).

 

E’ necessario però fare un salto indietro, con la storia, nella Storia. Perché? E’ importante comprendere che tutto ciò che troviamo nel decreto di Pio IX, ha radice lontane, sia geograficamente, sia temporalmente. La verità della Immacolata Concezione era già – in una certa misura – patrimonio della fede orientale, sin dal secolo VI e VII. Nella Chiesa latina sin dall’anno mille. Ancor prima della definizione magisteriale del dogma, molti furono insigni uomini di Chiesa ad attribuire un simile titolo alla Madre di Gesù. Già nel VI secolo, ad esempio, un certo Theotecno di Livias, vescovo della Palestina, nel riferirsi a Maria – in un panegirico, scritto in occasione della festa dell’Assunzione – usava termini quali “santa e tutta bella”, “pura e senza macchia”,  e alludendo alla sua nascita, affermava: “Nasce come i cherubini, colei che è di un’argilla pura e immacolata”. Più avanti, troveremo Andrea di Creta – noto anche come Andrea da Gerusalemme, (Damasco, 660 circa – Mitilene, 740) vescovo bizantino –che vide, per primo, nella natività di Maria, una nuova creazione. Scriverà, infatti, nel suo sermone sulla “Natività di Maria”:  “Oggi l’umanità in tutto il fulgore della sua nobiltà immacolata, riceve la sua antica bellezza.  Le vergogne del peccato avevano oscurato lo splendore ed il fascino della natura umana; ma quando nasce la Madre del Bello per eccellenza, questa natura recupera, nella sua persona, i suoi antichi privilegi ed è plasmata secondo un modello perfetto e veramente degno di Dio”.

 

 

Ma l’ “argomento Immacolata”, chiamiamolo così, ebbe un vero e proprio “spartiacque” durante il 1200, grazie a colui che sarà definito “Doctor subtilis”, o il “Cavaliere dell’Immacolata”:   il francescano Giovanni Duns Scoto, nato a Duns in Scozia nel 1265 o 1266. In sintesi, fu lui, che divise il panoramico teologico dell’epoca – siamo al Tempo della cosiddetta “Scolastica” – in “pro” e “contro” l’affermazione dell’immacolata concezione di Maria.

L’idea del francescano scozzese può essere sintetizzata, in breve, così: in Maria si è realizzata una “redenzione preventiva”. Dunque, la Vergine Maria non è stata sottratta alla legge universale della redenzione, ma vi ha beneficiato in modo ancor più sublime: Cristo, unico mediatore, ha esercitato proprio in lei l’atto di mediazione più eccelso, preservandola fin dal suo concepimento dal peccato. Scrive, infatti, Scoto: “Maria ebbe massimo bisogno di Cristo redentore; ella infatti avrebbe contratto il peccato originale a causa della propagazione comune e universale, se non fosse stata prevenuta dalla grazia del Mediatore; e come gli altri ebbero bisogno di Cristo, perché a loro fosse rimesso per i suoi meriti il peccato già contratto, così ella molto di più ebbe bisogno del Mediatore che la preservasse dal peccato, affinché non lo dovesse contrarre e non lo contraesse”.  In merito a questo, si scatenerà una vera e propria lotta che coinvolse non solo singoli teologi,  ma intere scuole teologiche e famiglie religiose. La lotta assunse nel tempo toni forti, a volte anche violenti. Rimarrà famosa nella storia della Teologia, la disputa sostenuta a Parigi, verso la fine del 1307, che vide coinvolti lo stesso Scoto e alcuni delegati della Santa Sede, allo scopo di dissipare le perplessità che si andavano accumulando contro l’insigne “appellativo” della Madre di Dio.  Perplessità che si placarono, molto più tardi, grazie all’intervento di Papa Sisto IV, per mezzo della Bolla “Cum praeexcelsa”, del 27 febbraio 1476.

Quello del dogma di Pio IX, è stato – dunque – solo l’ “apice” di un percorso di studio,  di profondità teologiche, di dispute che, attraverso i secoli, attraverso diversi personaggi del mondo della Chiesa (sia d’Oriente, sia d’Occidente) hanno segnato, e hanno contribuito al “concetto” di “Immacolata Concezione”, così come noi lo conosciamo, oggi.

 

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