fede

Giovedì Santo, il dono dell'Eucarestia

Edoardo Scognamiglio
Pubblicato il 29-03-2018

La Cena del Signore può suscitare in noi anzitutto uno stile di vita fraterno fatto di ringraziamento, di adorazione e di offerta, che relazione tutto a Dio come alla prima sorgente e all’ultima patria

«E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e mi incontrassi in sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie dove abitano, non voglio predicare contro la loro volontà. E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori, e non voglio in loro considerare il peccato, poiché in essi io vedo il Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio questo perché, dell’altissimo Figlio di Dio nient’altro io vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il sangue suo che essi soli consacrano ed essi solo amministrano agli altri. E questi santissimi misteri sopra ogni cosa voglio che siano onorati, venerati e collocati in luoghi preziosi. E dovunque troverò i nomi santissimi e le sue parole scritte in luoghi indecenti, voglio raccoglierle, e prego che siano raccolte e collocate in un luogo decoroso»[1].

Nell’Eucaristia Francesco adora il Verbo di Dio venuto nella carne, il Figlio eterno che si è fatto uomo, la gloria di Dio che si è resa visibile per noi. Ardeva di amore in tutte le fibre del suo essere verso il sacramento del corpo del Signore, preso da stupore oltre ogni misura per tanta benevola degnazione e generosissima carità[2].

La Cena del Signore può suscitare in noi anzitutto uno stile di vita fraterno fatto di ringraziamento, di adorazione e di offerta, che relazione tutto a Dio come alla prima sorgente e all’ultima patria e si apre all’accoglienza del dono, che da lui solo viene. Questo stile di gratitudine e di meraviglia ci libera dalla prigionia di noi stessi e ci schiude alle sorprese di Dio. Dove non c’è gratitudine, infatti, il dono è perduto: dove si fa Eucaristia, invece, esso diventa pienamente fecondo. Senza gratitudine e stile di servizio, per il Poverello, non ha senso celebrare la Pasqua del Signore, soprattutto il Giovedì santo, momento in cui Cristo ha lavato i piedi ai suoi discepoli.

In quanto memoriale del mistero pasquale del Figlio, l’Eucaristia è il sacramento del sacrificio della Croce ed è convito, nel quale si partecipa veramente al copro e al sangue del Signore. Non commemorazione vuota, ma memoria potente. Il memoriale, in senso biblico, è il farsi presente dell’evento della salvezza nell’oggi della comunità celebrante per opera dello Spirito di Dio. Il Cristo morto e risorto è presente nel segno del pane e del vino, che diventano realmente il suo corpo e il suo sangue. Francesco pregava e celebrava così il Giovedì santo. La Santa Cena è il sacramento dell’incontro pieno con lui, la partecipazione al suo mistero pasquale, che riconcilia la persona e la comunità nella nuova alleanza con Dio. Nella nostra fraternità, come in ogni famiglia cristiana, celebrare la Pasqua deve poter significare, concretamente, offerta al Padre ed entrata nella pace della riconciliazione compiuta dal Crocifisso-Risorto. L’Eucaristia, in quanto memoriale della morte e risurrezione del Signore, tende allora a suscitare una vita pasquale, in cui i risorti, che hanno incontrato il Risorto nel pane della vita, sperimentano e irradiano la sua vittoria sulla morte e sul peccato.

L’Eucaristia, pane della vita, diviene, per Francesco, un segno sicuro di salvezza per i suoi frati, le comunità e il mondo intero. Spezzare il pane della vita significa ricevere direttamente il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo e partecipare della sua umiliazione.

“Memoriale” e “pane di vita eterna” sono i due appellativi con i quali la comunità francescana è chiamata, dal Poverello, a vivere la celebrazione pasquale. Da una parte, infatti, abbiamo la certezza della comunione, dall’altra la partecipazione alla morte redentrice di Cristo.

Non è possibile fare Eucaristia, ricevere il corpo del Signore, senza passare per il sentiero della penitenza e della conversione, ossia del Venerdì santo. Pur nell’eccedenza del Mistero, dell’amore gratuito del Padre, l’itinerario di fede vive d’una sua coerenza: dalla conversione alla comunione, dalla riconciliazione alla penitenza. Amandosi tra di loro e perdonandosi, i frati partecipano al banchetto del Signore. La vita sacramentale non è nient’altro che il corrispettivo della via penitenziale, cioè l’altro modo di vivere il mistero della salvezza e l’essere nella grazia di Dio. Non riti e celebrazioni sfarzose interessano la comunità francescana, ma una liturgia come sorgente di vita, fonte e culmine della salvezza, e un vissuto sacramentale che diviene segno dell’intima unione con il Cristo, che ci fa vivere e morire per lui, per il Vangelo. Celebrare l’Eucaristia, infatti, è “vivere per Cristo”.

L’Eucaristia è, per Francesco, l’amore incarnato di Dio, il segno più grande nel quale il Verbo della vita si umilia e discende in mezzo a noi dal suo trono celeste. Così, è il sacramento che crea comunione ed educa alla fraternità, alla koinonia.


[1]Testamento 9-14: FF 112-114.

[2] Cf. ivi 201: FF 789.

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