fede

CONSOLARE GLI AFFLITTI, LA IV OPERA DI MISERICORDIA SPIRITUALE - DI SALVATORE MARTINEZ

Salvatore Martinez
Pubblicato il 30-11--0001

Guardiamo a Gesù. Osserviamolo mentre efficacemente “consola” alla porta delle Pecore del Tempio di Gerusalemme. Gesù non ama alla rinfusa, non conosce superficialmente, cerca proprio “il paralitico” in un giorno di confusione, poiché ricorreva una festa dei Giudei a Gerusalemme (Gv 5, 1-8). Gesù cerca il passato di quell’uomo esiliato dentro un dolore antico, la sua storia di sofferenza, il suo cuore spezzato, le sue ossa malate. Cerca il suo destino di felicità negato. Trova un dimenticato, una persona sola, che faceva i conti con la mancanza di aiuto, malato da 38 anni. Sembrano rivivere le parole del profeta Qoelet: «Guai a chi resta solo; se cade non ha nessuno che lo rialza» (Qo 4, 4). 38 anni di attese. “Nessuno”, scrive san Giovanni, si era preso cura di lui. Come si può essere così disincarnati, insensibili, distratti, anche noi che stiamo tra la gente, ci portiamo per adorare Dio nel “tempio” e non sappiamo riconoscerlo bisognoso d’amore nel “tempo”? Come è possibile che nessuno si fosse accorto di lui? «Signore, dice il paralitico, non ho nessuno».

Non hanno nessuno i nostri figli quando si inventano la vita dietro allo schermo di un computer. Non hanno nessuno i nostri anziani quando non c’è spazio per la loro benefica memoria del passato, presto archiviata per dare spazio ai vizi contemporanei in luogo delle virtù antiche. Non hanno nessuno coloro che rimangono soli nelle periferie esistenziali del lutto non evangelizzato, della disoccupazione non evangelizzata, della sofferenza non evangelizzata, della prigionia non evangelizzata.

Come possiamo permettere che qualcuno dica «non ho nessuno? Ogni solitudine non redenta, ogni guarigione non invocata, ogni opera di misericordia corporale e spirituale incompiute fanno i conti con il nostre “no” ad essere misericordiosi. Eppure Gesù ci ha detto: «Non vi lascio soli». Una promessa che vale per sempre: «Io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo» (Mt 28, 20).

Gesù ha bisogno di noi per perpetrare la sua compassione, la sua consolazione, la sua misericordia per ogni uomo ferito. Ecco perché dobbiamo lavorare incessantemente per la nostra conversione interiore, perché il nostro cuore sia sempre permeabile all’amore.

Consolare gli afflitti sia anche per noi, come discepoli di Gesù, come Gesù, in Gesù, andare al cuore della festa, della domenica, del giorno del Signore e vedere se questo “giorno di salvezza” tarda per i tanti “soli” che attendono volti e gesti di misericordia; vedere se i veri “amici di Dio” – gli ultimi, i piccoli – risultano assenti perché non hanno nessuno che li introduca nella realtà salvifica di Cristo, in quei «fiumi di acqua viva» (cf Gv 7, 38) che lo Spirito fa sgorgare nel cuore di tutti coloro che credono.

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