fede

IV OPERA DI MISERICORDIA CORPORALE, ALLOGGIARE I PELLEGRINI

Franco Cardini
Pubblicato il 30-11--0001

“RicordaTi, o Signore, che anche noi siamo stati stranieri in terra d’Egitto”. Questa la commovente preghiera che gli ebrei, riuniti a mensa la sera del Pesah, rivolgono a Dio nell’accogliere gli stranieri invitati a sedere e a consumare con loro la cena come ospiti. E’ un momento bellissimo: chiunque, non-ebreo, abbia avuto la fortuna e il privilegio di viverlo, non lo dimentica più per la vita.

Siamo tutti esuli, siamo tutti pellegrini. E il pellegrino, com’è perfettamente sottolineato dal diritto canonico e dalla tradizione della Chiesa, è anzitutto, soprattutto, essenzialmente un pauper: cioè non solo un mendicante che non ha nulla ma ha bisogno di tutto, bensì uno che ha rinunziato a tutto per chieder perdono a Dio e intraprendere un cammino pericoloso che può costargli l’esistenza. Nei primi tempi del cristianesimo, i pellegrini si avviavano verso Gerusalemme per concludervi il cammino della vita.

Ma il pellegrino è tale in quanto affronta anche una dura penitenza. E’ un peccatore, e il suo andare somiglia in ciò a quello di Caino dopo il peccato: nessuno dovrà nuocergli in quanto egli è il testimone della condanna inflittagli da Di e ne reca il segno. Questo significavano, nella nostra civiltà tradizionale, la croce e la palma di chi tornava da Gerusalemme, le chiavi e l’effigie della veronica di chi era reduce da Roma, la conchiglia atlantica di chi aveva percorso il Camino de Santiago.

Il Frate Minore, sull’esempio del Maestro e a differenza delle volpi che pur hanno la loro tana, non ha una pietra su cui posare la testa. Egli è un perfetto pauper in quanto ha rinunziato ad ogni forma non solo di avere, ma anche e soprattutto di potere (questo il significato ultimo della paupertas). Perciò egli ripone – secondo un celebre Fioretto – il segreto della Perfetta Letizia nel venire respinto, rifiutato, perfino offeso e malmenato dal troppo severo custode del luogo al quale ha bussato chiedendo ospitalità. Solo così egli persegue perfettamente la sequela Christi, avvicinandosi il più possibile al Cristo povero e nudo.

Ma Francesco, povero perfetto che non ha né casa, né calzari, né un secondo saio, è infinitamente disponibile a condividere la sua povertà con tutti i fratelli che si trovano nella medesima condizione: anche e soprattutto con quanti, a differenza di lui, non l’hanno scelta e non la vivono pertanto in Perfetta Letizia.

Nulla indica forse con tanto profonda efficacia il senso dell’”Alloggiare i pellegrini” in chiave francescana – che significa accogliere, nutrire, curare e attraverso ciò convertire – dell’episodio dell’ammalato malvagio che odia tutti a causa delle sue sofferenze, che pretende sempre di più e si dimostra ingrato e violento nei confronti di chi lo serve. Ma che commosso fino alle lacrime si convertirà quando la santa forza di Francesco che gli lava con amore le piaghe purulente sopportando le sue rabbiose contumelie vincerà la sua ostinazione.

“Amor ch’ha nulla amato amar perdona”, dice il Poeta. L’Amore è un esempio travolgente, che non può non coinvolgerne chi ne è oggetto. L’Amore muove e conquista il mondo. E’ questo il senso dell’insegnamento di papa Francesco a proposito della lotta contro la “cultura dell’indifferenza”. E’ quanto egli propose agli ospiti di Lampedusa quell’indimenticabile 8 luglio del 2013. Accogliere i pellegrini, condividere con loro quanto si possiede, mettersi al loro servizio.

Il Frate Minore non ha nulla. Nemmeno il convento dove temporaneamente risiede è suo; nemmeno i suoi abiti e il suo poco cibo. E, questo nulla, lo mette a disposizione di chiunque ne abbia bisogno. Su questa terra, sulla quale siamo tutti poveri pellegrini, nessun peccato è peggiore dell’appropriarsi di quanto non è nostro negandolo al fratello. Per questo il Frate Minore, in quanto mendicante, è a sua volta ospite magnifico e generoso. Questa è la Rivoluzione della Carità: la sola che potrà salvare il mondo.

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