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Rouen, il killer era un diciannovenne col sogno della Jihad. La madre 'è stato stregato'

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Quattro mesi dopo è morto sul sagrato della chiesa di Saint Etienne du Rouvray dopo aver sgozzato un prete gridando «Allah Akbar».

La mattina del 22 marzo, mentre a Bruxelles tre kamikaze si facevano saltare nella metro di Maelbeek e nell’aeroporto di Zaventem, Adel Kermiche ha tirato un sospiro di sollievo. Dopo dieci mesi di carcere per aver tentato di arruolarsi nella jihad, per questo ragazzo di 19 anni cresciuto nella periferia di Rouen era arrivato il momento di respirare la libertà. Anche se condizionata, con un braccialetto elettronico al polso per controllare i suoi movimenti. Un vincolo che per lui non è mai stato un problema, anzi. Tre giorni dopo l’uscita dal carcere ha festeggiato il suo diciannovesimo compleanno con gli amici.

Quattro mesi dopo è morto sul sagrato della chiesa di Saint Etienne du Rouvray dopo aver sgozzato un prete gridando «Allah Akbar». Al suo fianco un complice, la cui identificazione ieri sera non era stata ancora completata perché «sfigurato» dai colpi sparati dalla polizia.

Come è possibile che un individuo schedato con la lettera «S» (così la Francia marchia i sospetti terroristi), con un braccialetto elettronico al polso, possa colpire in questo modo? È possibile, evidentemente. Adel aveva l’obbligo di dimora nell’elegante villetta con giardino dei genitori che si trova nella rue Nikola Tesla, quartiere residenziale e ordinato a Nord del centro di Saint Etienne du Rouvray. Obbligo di dimora, ma con una certa libertà. Bastava una firma al commissariato, e poi dal lunedì al venerdì, dalle 8,30 alle 12,30, e il sabato dalle 12 alle 18, poteva fare quello che voleva. E lo ha fatto.

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I suoi vecchi compagni di scuola al Collège Paul Eluard non avrebbero mai creduto di vederlo fare quella fine. All’epoca della scuola media era «une flipette», un fifone, raccontano i coetanei. Gli piacevano i videogiochi. Ma nel quartiere raccontano che nel giro di un anno e mezzo questo ragazzino «solare e allegro» era cambiato di colpo. «Parlava sempre di politica, guardava sempre i video della guerra in Siria» racconta un suo coetaneo, vestito con una tuta da ginnastica, mentre se ne sta letteralmente sdraiato sul marciapiede davanti a casa di Adel. «Io sul telefono guardo i video delle ragazze». Ride masticando semini di girasole, che poi sputa a due passi dai poliziotti che formano il cordone di sicurezza mentre sono in corso ancora le perquisizioni.

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La radicalizzazione di Adel è cominciata nel gennaio dello scorso anno. È stata fulminea, cresciuta di pari passo con la sua barba. A scatenarla, l’attentato nella redazione di «Charlie Hebdo». Da quel giorno ha iniziato a seguire sui social network i profili di jihadisti. Lo ha raccontato sua madre, insegnante. «È stato come stregato, sembrava finito in una specie di setta». In meno di tre mesi era già pronto per andare in Siria. Ci ha provato, almeno due volte, senza mai riuscirci. Ma vale la pena raccontare i dettagli di tutti i suoi spostamenti per riflettere sul livello della sua potenziale pericolosità.

Siamo nel marzo del 2015 e Adel e prende contatti con una rete di reclutatori jihadisti. Via web gli danno le indicazioni, gli dicono quali treni e quali bus prendere per andare a Monaco di Baviera, poi in Bulgaria, e quindi in Turchia. Ma il 23 marzo il suo viaggio si ferma nella città tedesca, dove viene intercettato e rispedito a casa. Era ancora minorenne. Il suo caso viene sottovalutato, ma lui continua a lavorare al suo progetto: andare a combattere nell’esercito dello Stato Islamico. Anche il suo amico d’infanzia, A. B., di soli 16 anni, prova a partire. Lui lo aiuta, pare fornendogli la sua carta d’identità, visto che era già maggiorenne. A. B. oggi è ancora in Siria. Ogni tanto si fa sentire via Facebook. Suo fratello H. B., di un anno più piccolo, ieri è stato arrestato. La polizia ha fatto un blitz nella casa in cui vive con i genitori, proprio dietro la chiesa.

Ma torniamo alla primavera del 2015. Adel l’11 maggio prende un volo per Ginevra, questa volta con un altro amico, A. E. M., minorenne. Il giorno dopo parte una segnalazione da Parigi e viene spiccato un mandato d’arresto internazionale. Ma Adel riesce comunque a imbarcarsi per Istanbul, utilizzando la carta d’identità di un cugino. In Turchia, il 13 maggio, viene però intercettato e rispedito in Francia, via Ginevra. Dieci mesi di carcere, poi il giorno della strage di Bruxelles la cella si apre. Il giudice decide che possono bastare un braccialetto elettronico e un invito: «Mi raccomando, ora fa’ il bravo». La Stampa - MARCO BRESOLIN

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