esteri

Guerra ai narcos, il Messico perde il conto dei morti

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

La scomparsa di 43 studenti medi a fine settembre 2014, arrestati durante una protesta in una cittadina messicana, presumibilmente torturati e uccisi, ma di fatto mai più ritrovati, ha attirato l’attenzione internazionale su una realtà drammatica. Da quasi dieci anni, in Messico si combatte una guerra tra Stato e trafficanti di droga, le cui vittime, in gran parte estranee al conflitto, superano le decine di migliaia e ormai non vengono nemmeno più contate dalle autorità.

Qualche giorno fa, Karla Zabludovsky, la corrispondente da Città del Messico del portale Buzzfeed, ha raccontato infatti di essersi sorpresa nell’autunno scorso, vedendo come le ricerche dei 43 liceali della scuola di Ayotzinapa avessero portato alla scoperta di diverse fosse comuni solo nel piccolo comune di Iguala (il luogo in cui erano stati visti per l’ultima volta i ragazzi), senza però che nessuna di queste contenesse i loro corpi.


Chi erano quindi le persone sotterrate in massa in quelle discariche, perse tra le colline secche della zona? Quante altre tombe del genere esistono o sono esistite in tutto il Messico dal dicembre 2006, l’anno in cui l’ex presidente Felipe Calderon ha iniziato la controversa «Guerra al Narcotraffico»? Per rispondere a queste domande, Zabludovsky si è rivolta alle istituzioni competenti: polizia, procure locali, procura generale e parlamento, ottenendo però solo un arcipelago di informazioni spesso incomplete, a volte inconsistenti e sempre contraddittorie.

Sebbene la giornalista impugnasse il diritto legale dei cittadini messicani ad essere messi al corrente sulla situazione, i portavoce giustificavano i loro «no comment», sostenendo che «la divulgazione di tali informazioni sarebbe stata più dannosa di qualsiasi interesse queste potessero creare», oppure, spiegando semplicemente che il numero di fosse comuni (e di cadaveri in esse contenuti) era così grande che per calcolarlo avrebbero dovuto «generare un’interruzione sostanziale e irrazionale nelle attività dell’area designata a produrre l’informazione».


Come in tutte le guerre, anche in questa le cifre sono un terreno di scontro e fonti di storiche polemiche, soprattutto tra il governo e le ong che riuniscono i famigliari delle vittime, secondo cui i morti e gli scomparsi sono molti di più di quanti non ne vengano dichiarati. Quando il 2 febbraio scorso, il presidente della Commissione Nazionale per i Diritti Umani, Luis Raul Gonzalez Perez, si è presentato davanti all’Onu, ha dovuto ammettere che il Paese non può dire con certezza quante siano le persone scomparse durante la «Guerra al Narcotraffico» e nemmeno è in grado di affermare con precisione quante ne siano morte e per colpa di chi.


Gli uffici statali che registrano le sparizioni sono in tutto tre, ognuno dei quali fornisce numeri molto distanti da quelli calcolati dai colleghi. La cifra di 24 mila 890 scomparsi al 2012, anno della fine del governo Calderon, è stata prodotta dalla Secreteria de Gobernacion e dalla Procuraduria General de la Republica, ma viene contestata dagli attivisti per i diritti umani, secondo cui molte persone non denunciano il sequestro di un parente, per il timore di subire rappresaglie da parte delle bande o delle stesse forze dell’ordine.

A Iguala, dove sono scomparsi gli studenti di Ayotzinapa, ci sono 120 mila abitanti e in poche settimane sono state trovate tre grandi fosse comuni, con dentro i resti di decine di vittime senza nome. L’impatto sull’opinione pubblica avuto dal caso, ne ha fatto uno dei pochi che sono stati investigati, sebbene l’archiviazione decisa il mese scorso dagli inquirenti, non sia stata considerata credibile dai periti indipendenti, dai commentatori e dai genitori dei ragazzi. (Filippo Fioroni - La Stampa)

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