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Dallas, è psicosi Ebola dopo il primo caso

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Scovato il “paziente zero” di Ebola negli Stati Uniti, parte la caccia agli altri potenziali contaminati. Cominciando dai bambini nelle scuole. «L’attenzione è massima — annuncia il Center of Disease Control — tutte le precauzioni vengono adottate». Ma un errore è già stato commesso 11 giorni fa, e potrebbe avere conseguenze gravi. Quando un passeggero in arrivo dalla Liberia atterra a Dallas il 20 settembre, e quattro giorni dopo si sente male, va a farsi visitare al Texas Health Presbyterian Hospital. I medici non riconoscono i sintomi del terribile virus che ha fatto più di tremila morti in Africa. Non hanno neppure dei sospetti, lo rimandano a casa. Dal 24 al 28 settembre, già malato di Ebola nella fase acuta in cui il contagio è ormai possibile, quel paziente fa una vita normale, in mezzo agli altri, ha molteplici contatti: dai 12 ai 18 tra familiari e amici, compresi dei bambini. Solo il 28 settembre torna all’ospedale e stavolta viene ricoverato d’urgenza, confinato in una camera di isolamento massimo. Ora il governatore del Texas Rick Perry è costretto ad annunciare: «Ci sono cinque ragazzi, alunni di scuole dell’area di Dallas, che hanno avuto contatti con il malato di Ebola. So che i genitori sono molto preoccupati». Il Center of Disease Control (Cdc) conferma: «Li abbiamo tutti sotto osservazione, isolati a domicilio». E Zachary Thompson che dirige l’autorithy sanitaria locale (Dallas County Health Services) aggiunge un altro caso altamente sospetto: «È un parente del primo malato, potrebbe essere il secondo malato di Ebola diagnosticato qui, lo stiamo seguendo da vicino». Le autorità cercano di bloccare una psicosi, prima che si scateni la “caccia all’untore”: il contagio — sottolineano — diventa possibile solo una volta che i sintomi di Ebola sono manifesti; non c’è rischio di contagio se il portatore è sano o il virus è “dormiente” nel senso che non dà ancora luogo a sintomi. Dunque dopo avere isolati quei cinque ragazzi non è il caso di mettere in quarantena anche i loro compagni di banco.


Ma i messaggi rassicuranti si alternano con notizie che lo sono molto meno. Lo shock è forte, dopo la scoperta del “paziente zero”, che sarebbe liberiano e si chiamerebbe Thomas Eric Duncan. Si tratta del primo caso in cui la malattia si è manifestata dopo l’arrivo sul territorio degli Stati Uniti. Ben diverso dunque dai due medici e dalla missionaria, che furono contaminati in Africa, successivamente trasportati qui in condizioni di massima sicurezza per essere curati in patria. Il “paziente zero” è il primo in cui il virus viaggia a bordo di un volo passeggeri, tra una folla ignara. E poi viene a contatto con la popolazione americana. Il rischio è evidente. Duncan ha fatto anche uno scalo in Europa, a Bruxelles.


Dalla scoperta del primo virus di Ebola nel 1976, l’attuale epidemia è di gran lunga la più grave. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha calcolato che ha già fatto 3.338 morti, su 7.178 contaminati: un tasso di mortalità elevatissimo che sfiora il 50% delle persone infette. La stessa Oms ha lanciato un allarme: questa epidemia potrebbe contaminare ventimila persone in un solo mese. Un modello informatico elaborato in America dal Cdc arriva a prefigurare 1,7 milioni di morti da qui a gennaio, se l’epidemia non viene arrestata.


Quanto si rivelerà “solida” in questa sfida la sanità Usa? Già nella reazione al primo caso di Ebola sono emerse inefficienze e sbagli gravi. Come ogni paziente che entra in una struttura sanitaria americana, anche il primo contagiato da Ebola il 24 settembre al pronto soccorso di Dallas si è visto consegnare una pila di scartoffie da riempire. Formulari, domande di rito. Tra le quali c’era proprio la domanda giusta: hai viaggiato in Africa occidentale di recente? Il “paziente zero” ha risposto correttamente: sì. Ma quella rivelazione non è mai arrivata ai medici che lo hanno visitato per primi. La burocrazia sanitaria ha seppellito sotto quella montagna di carta l’indizio prezioso che avrebbe fatto scattare la diagnosi, l’isolamento. Rimandato a casa, ha potuto contagiare dalle 12 alle 18 persone. Adesso la psicosi arriva anche a Wall Street. Calano i titoli delle compagnie aeree. Si teme un bis della Sars cinese, che nel 2003 svuotò gli aeroporti e paralizzò i viaggi.La Repubblica

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