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Combattenti, volontarie e madri. La schiera silenziosa che marcia contro Isis

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Mamma Monique che va a riprendersi a Raqqa la figlia Asha, sedotta e rapidamente delusa dal Califfato, è l’ultima donna in ordine di tempo a sfidare (e battere) i temibili jihadisti di al Baghdadi . Mentre infatti i bombardamenti della coalizione internazionale sembrano finora poco risolutivi, l’offensiva femminile, declinata in varie forme, è riuscita quantomeno a mettere psicologicamente in difficoltà lo Stato Islamico. 



Le prime sono state le combattenti curde . Quando l’estate scorsa il mondo si è improvvisamente accorto che la tragedia siriana riguardava tutti ha cercato alleati last minute e ha trovato i curdi. In realtà i peshmerga, così come i battaglioni del PKK, erano in trincea da tempo. Ma tant’è: riflettori puntati in fretta e furia sui valorosi guerrieri nemici giurati di Ankara e fanfare d’incoraggiamento alla loro e nostra controffensiva. Abbiamo allora scoperto che, tradizionalmente, le milizie curde non fanno distinzioni di genere e che le donne vanno all’assalto esattamente come i compagni. Haram per i folli di Dio, che credono di avere accesso al paradiso pullulante di vergini solo a condizione di non morire per mano femminile.


 

Quando a fine agosto i media globali hanno diffuso le immagini delle peshmerga Rehana, che dalle retrovie della resistenza di Kobane sorrideva facendo il segno della vittoria con le dita, gli uomini di al Baghdadi sono andati nel panico. Questo almeno è confortante pensare stando alle loro reazioni, dalla diffusione del video in cui uno jihadista mostra la testa decapitata dei Rehana (bella forza…) fino alla fatwa del predicatore italo-australiano Musa Cerantonio in cui si spiega che la guerra santa garantisce il paradiso indipendentemente dal sesso del nemico. Di certo, più o meno sensibile alla superstizione, l’ultramedievale esercito del Califfato non ha gradito l’emancipazione estrema tra le fila degli avversari.



Poi ci sono le spose del jihad. Quelle obbligate, come le fanciulle di Ninive o le yazide, e le volontarie. Tunisine, americane, australiane, circa 200 europee come Aisha partite sognando di sacrificarsi per una causa ideale (tra cui riprodurre martiri) e ritrovatesi invece schiave. Immaginarle in balia dell’odio machista e fondamentalista è indubbiamente una sconfitta per le donne, ma a ben guardare c’è di più. Le “jihadiste” infatti vanno in Siria soprattutto per ragioni umanitarie, non compaiono mai nei video come quelli in cui l’ego degli uomini si gonfia di ferocia, difficilmente affiancano tronfie rivendicazioni di barbarie e molto spesso si pentono. Storie come quella di Aisha, che dopo qualche mese chiama casa disperata, sono numerosissime, anche se assai più raro è il lieto fine. Il franco-tunisino Fouad el Balthy sta ancora cercando di riportare ad Avignone la sorella che da Raqqa lo implora di salvarla.



Infine c’è mamma Monique. Scacco matto. La forza dell’amore contro quella dell’odio. Monique avrebbe potuto essere catturata a Raqqa e uccisa, avrebbe potuto vedere la figlia senza riuscire a portarla via, avrebbe potuto piangere per decenni le lacrime del fallimento esiziale. Quando i teorici dello Stato Islamico proclamano di essere invincibili perché, diversamente dai dissoluti occidentali e dai loro amici musulmani occidentalizzati, adorano la morte più della vita farebbero bene a ricordarsi delle donne. Le donne che s’innamorano della jihad illudendosi che significhi vita e non hanno paura di fare retromarcia, le donne che come le combattenti curde di Kobane si uccidono per non cadere prigioniere degli jihadisti (che errore grossolano chiamarle kamikaze…), l’organizzazione delle donne arabe che vuole deferire gli uomini di al Baghdadi al Tribunale Penale Internazionale con l’accusa di crimini contro l’umanità, le madri che scendono agli inferi e diversamente da Orfeo tornano indietro vittoriose. Certo, ci sono le eccezioni tipo la presunta jihadista britannica che sarebbe alla guida di un traffico di spose del jihad. Ma le regola è diversa. Che possano essere le donne l’argine psicologico che può sfasciare da dentro il Califfato?  (Ansa)

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