cultura

“Ritorno al futuro”, i 30 anni di culto del film che ha viaggiato nel tempo

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Trent’anni fa, in questi giorni, nei cinema americani stavano scoprendo che spingendo una DeLorean a 88 miglia orarie (senza dimenticare di azionare il flusso canalizzatore) si poteva viaggiare nel tempo. Il 3 luglio era arrivato nelle sale il primo capitolo di Back to the Future, una delle trilogie più amate al mondo.  

In Italia Ritorno al futuro sarebbe sbarcato solo il 18 ottobre, ma l’innamoramento fu totale, di qua come di là dell’oceano. Hollywood allo stato puro: un film costato 19 milioni di dollari che ne guadagna 11 nel primo weekend e che frutterà, solo dal botteghino Usa, la cifra monstre di 210 milioni. 

Michael J. Fox, l’amato ragazzino repubblicano di Casa Keaton, diventa una star di prima grandezza e il regista Robert Zemeckis un Re Mida hollywoodiano. Il successo fu talmente clamoroso che all’uscita della videocassetta fu aggiunto il «To be continued». Tutto era pronto per il secondo capitolo, che venne realizzato insieme al terzo. Tant’è che in coda al numero 2 c’era già un’anticipazione dell’ultimo capitolo, quello in cui Marty e Doc, dopo essere andati nel 1955 e nel 2015, si immergono nel Far West. 

Fu il meno convincente, ma ormai la trilogia aveva preso il volo. Il successo è cresciuto nel tempo, dopo i ragazzini degli Anni 80 le avventure avanti e indietro nel tempo di McFly & co hanno conquistato le generazione successive. Chi almeno una volta non ha detto «Ehi tu, porco, levale le mani di dosso!» o gridato «Che cosa ti dicevo? 88 miglia all’ora!»?  



Basta fare un giro sul Web per scoprire quanta attenzione ancora genera la trilogia: a scavare tra le curiosità non si finirebbe mai. È come trovarsi di fronte a una serie di scatole cinesi di «Ma lo sapevi che». Il mito che alimenta il mito. Davanti a Ritorno al futuro si torna tutti bambini, sarà successo anche ai 16 mila spettatori che martedì hanno seguito la proiezione del primo capitolo, con le musiche di Alan Silvestri suonate dal vivo, all’Hollywood Bowl in compagnia degli attori e del regista. Ma accanto a Christopher Lloyd non c’era Michael J. Fox, in lotta con il morbo di Parkinson dal 1991. Dicono che sarà presente agli omaggi in programma a New York, i fan se lo augurano, tutti noi ce lo auguriamo. Perché a Marty McFly vogliamo tutti bene. 

Le iniziative per celebrare il trentennale stanno facendo il giro del mondo, Italia compresa: a Settimo Torinese hanno allestito una mostra con memorabilia provenienti dai tre set e una ricostruzione della DeLorean, il 23 e 24 maggio Castell’Alfero (Asti), cittadina di cui è cittadino onorario Alan Silvestri, ha dedicato due giorni alla trilogia, con tanto di un concerto della colonna sonora, e, sempre a Settimo, a novembre verrà replicato il ballo scolastico del primo film, quello in cui Marty si scatena in un assolo di chitarra memorabile. Abbigliamento consigliato? Rigorosamente Anni Cinquanta.

E mentre siamo qua a celebrare un film di trent’anni fa, il futuro immaginato nel numero 2 è arrivato, quel futuro siamo noi. Il 21 ottobre arriveranno Marty, Jennifer e Doc. Non troveranno ragazzini che fluttuano su skate senza ruote, ma troveranno un Presidente nero: nemmeno gli sceneggiatori avevano avuto il coraggio di immaginarlo. Una cosa sicuramente non la troveranno, il numero 4 di Back to the Future. Zemeckis lo ha detto chiaro: «Dovranno passare sul mio cadavere». E allora godiamoci questo salto nel passato, saliamo un’altra volta sulla DeLorean e torniamo nel 1985, visto mai che non si riesca a costruire un futuro migliore. A costo di rischiare un paradosso temporale. 

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