cultura

Leggere san Francesco a Tokyo

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Se Raphael von Koeber fosse vissuto ai nostri giorni avrebbe partecipato al recente incontro di Papa Francesco con gli anziani. Lo avrebbe fatto, immaginiamo, per due buoni motivi. Trecento anni dopo il breve periodo di attività missionaria dei padri francescani nella terra aperta all'evangelizzazione da san Francesco Saverio, fu Koeber il primo intellettuale a far conoscere al Giappone Meiji la vita e il pensiero del santo venerato dai fedeli nipponici con l'app ellativo "seraphico padre". Inoltre, il professore che a Tokyo per ventuno anni (1893-1914) insegnò storia della filosofia ed estetica all'università imperiale e musica presso la Scuola di Belle Arti (l'attuale Geijutsu daigaku) evocava volentieri il proprio debito di riconoscenza nei confronti della nonna che l'aveva allevato. Raphael von Koeber, tuttora ricordato in Giappone per il ruolo guida nella diffusione della filosofia, nacque a Niznij Novgorod nel 1848; medico tedesco il padre, svedese la madre, che morì quando Raphael aveva appena un anno.


Figura determinante nella crescita spirituale e nell'educazione del bambino fu la nonna paterna, figlia di un pastore luterano che, essendo stato precettore di Maria d'Assia e del Reno, consorte dello zar Alessandro II , si era fatto promotore della costruzione in Russia di una chiesa protestante. Donna colta e caritatevole, la nonna insegnò al nipote a suonare il pianoforte, lo seguì negli studi, restandogli accanto negli anni in cui l'adolescente, emarginato dai compagni di scuola perché figlio di stranieri, frequentò la scuola in modo irreg o l a re . Nonostante il parere contrario del padre, a 19 anni Koeber decise di iscriversi al Conservatorio di musica di Mosca dove conobbe ajkovskij e Rubinstein. A 24 anni è un buon musicista ed è poliglotta: oltre a tedesco, russo e francese appresi a casa, a scuola aveva studiato inglese, greco, latino e italiano; tuttavia, ritenendo di non avere un futuro da musicista, Koeber andò in Germania e all'università di Jena studiò prima scienze poi filosofia. Entrato in contatto con Karl Robert Eduard von Hartmann, discepolo di Schopenhauer, si laureò discutendo una tesi su quel filosofo, insegnando poi filosofia ed estetica della musica nelle università di Berlino, Heidelberg e Monaco di Baviera.

A partire dagli anni Sessanta dell'Ottocento, per accelerare la modernizzazione del Paese, il governo giapponese inviò studiosi occidentali delle più diverse discipline a insegnare nelle università, scuole d'arte e accademie militari dell'arcipelago; al contempo ogni anno un ristretto numero di studenti veniva inviato in Europa (soprattutto in Olanda, Francia, Germania e Inghilterra) e negli Stati Uniti. Invitato dal governo di Tky su presentazione del filosofo Inoue Tetsujir, amico di Hartmann, Koeber fu il primo russo a insegnare in Giappone. Quando, nel  giugno 1893, all'età di 45 anni Koeber sbarcò a Kobe, lo studio della filosofia nel Paese del Sol levante era agli albori: erano trascorsi appena vent'anni dall'introduzione del termine filosofia nella lingua giapponese. Nel 1873 Nishi Amane, tra i primi e più convinti fautori della diffusione in Giappone e dello studio delle arti e delle scienze dell'Occidente, aveva coniato una parola, tetsugaku , che, tramite gli ideogrammi, veicolasse in giapponese il significato etimologico di "amore della conoscenza". Fino ad allora, infatti, il termine era stato traslitterato in katakana , la scrittura fonetica riservata ai termini stranieri (non è frequente che una parola straniera abbia un corrispettivo, legato al significato, in ideogrammi).

Nel frattempo erano stati resi disponibili in traduzione non solo diversi classici della tradizione filosofica occidentale, ma anche testi di autori contemporanei. Nell'ottobre 1892, ad esempio, pochi mesi prima dell'arrivo di Koeber, uno dei padri della letteratura nipponica moderna, Mori gai, aveva avviato sulla rivista «Shigarami zshi» la pubblicazione della propria traduzione integrale della Philosophie des Schönen di Hartmann. All'università Koeber venne presto notato: non ricercava beni materiali e si offriva spesso di collaborare gratuitamente con colleghi e studenti. In un Paese in cui i rapporti tra le classi sociali erano ancora di matrice feudale, destava meraviglia la sua gentilezza nei confronti di servitori, guidatori di risciò e, in generale, delle persone più umili. Del docente Natsume Sseki ricorderà soprattutto la grande padronanza dell'inglese. Una testimonianza di altri due suoi ex allievi - Kubo Tsutsumi e Suzuki Masuo - è illuminante: «Quando c'erano diverbi e provavamo sentimenti negativi, non ci presentavamo davanti a Koeber se non dopo aver allontanato quei sentimenti». La vigilia di Natale del 1899, sotto la guida spirituale del padre Jacques Edmond-Joseph Papinot delle Missions Étrangères de Paris, parroco della chiesa cattolica di Kanda a Tky e autore di un dizionario di storia e geografia del Giappone ( Nihon rekishi chiri jiten , 1899), l'ortodosso Koeber si convertì al cattolicesimo.

Approfondì la conoscenza di Francesco d'Assisi, e non smise di parlare di Francesco ad amici - tra i quali in particolare lo scrittore Ueda Bin - e studenti. In un'opera giovanile, Zen no kenky («Ricerche sul bene», 1911), il suo allievo Nishida Kitar si soffermò a lungo sulla figura del Poverello di Assisi. Durante gli ultimi  anni di insegnamento Koeber entrò in contatto con due studiosi di formazione protestante noti per i loro studi sul santo: il pastore francese Paul Sabatier e lo scrittore e poeta danese Jens Johannes Jørgensen. Non è certo se Koeber, cui spetta il merito di aver fatto conoscere agli intellettuali giapponesi suoi  contemporanei Asciji no Fransisco , oggi più noto come Assisi no Francesco (sempre in katakana ), fu informato della pubblicazione in traduzione giapponese (risp ettivamente nel 1915 e nel 1917) delle biografie del santo scritte da Sabatier e da Jørgensen. Infatti, nell'estate 1914 Koeber, che pure si era rifiutato di lasciare il Giappone allo scoppio della guerra russo-giapponese, aveva deciso, ormai in pensione, di trasferirsi a Monaco di Baviera. Ma qualche settimana dopo, scoppiata la prima guerra mondiale, vennero interrotti i collegamenti marittimi con l'Europa.

Koeber trascorse così gli ultimi nove anni della sua vita recluso in una stanza del consolato russo a Yokohama. Come ricorda Ishii Kengo nella voce Assisi no Fransisco dell'autorevole Nihon Kirisuto-ky re k i s h i dai-jiten («Grande dizionario di storia del cristianesimo in Giappone», Tky, Kybunkan, 1988), il saggio dell'italianista Kuroda Masatoshi (1890-1973) Sei Fransisco no kanzen no kagami to seihin raisan («San Francesco, perfetto modello di vita e cultore della povertà», apparso nel novembre 1924) costituì il momento di svolta nella storia dell'i n c o n t ro tra Poverello di Assisi e il pubblico colto del Giappone. Il lavoro di Kuroda presentava gli ideali francescani, esaltando lo stile di vita sobrio del santo così vicino al valore di seihin (povertà integrale); i punti di contatto con la visione buddista della povertà quale libero distacco dai beni materiali incuriosirono i contemporanei e tuttora stimolano la cultura e la spiritualità giapponesi. Un haiku di Yamaguchi Sd, amico di Bash, recita: «Primavera / anche nella mia capanna. E proprio / perché non vi è nulla / là vi è il Tutto» .

Apprezzato traduttore della Divina Commedia e del Principe , Kuroda ebbe non pochi problemi, sul piano linguistico, nel volgere in giapponese il Cantico delle creature. L'invito a lodare il creatore rivolto alla natura tutta dissona con la lingua e dunque con la mentalità di una civiltà di tradizione panteista, quale quella nipponica, alla quale il concetto di creazione è estraneo. Nel suo discorso del Nobel Utsukushii  Nihon no watakushi («Il Giappone, la bellezza e io», 1968) Kawabata Yasunari cercò di esplicitare per il pubblico occidentale il peculiare sentimento nipponico di comunione tra la natura e l'uomo considerato non come il padrone della natura, ma solo una delle sue «infinite manifestazioni», commentando così dei versi del poeta Saigy, monaco buddista del XII secolo: «Avvicinandomi alla luna, io che guardo la luna mi faccio luna; la luna guardata da me diventa me; m'inabisso nella natura e in essa mi fondo. È come se la luce emanata dal cuore purificato del monaco in meditazione, immerso nell'oscurità che precede l'alba, fosse scambiata dalla luna mattutina per la sua stessa luce». Per tradurre il titolo del componimento di san Francesco, Kuroda optò dunque per il più popolare Canto di Frate Sole, omettendo però l'appellativo frate: Taiynouta . Impossibile poi rendere sorella luna: in giapponese l'astro (tsuki ) è asessuato. Kuroda ricorse alla rara espressione harakara (dello stesso ventre) e, per dare libero corso all'immaginazione del lettore, eluse gli ideogrammi che avrebbero potuto comunicare un'immagine troppo fisica, scegliendo la scrittura fonetica hiragana , lieve e pittorica. (Irene Iarocci Osservatore Romano)

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