Giotto, Gentile Cimabue l'epoca d'oro rivive a Fabriano
Oltre cento opere fra dipinti, pale d'altare, affreschi staccati, ma anche sculture, miniature, codici e rare oreficerie, raccontano lo straordinario panorama artistico che fra il Duecento e il Trecento fece di Fabriano l'epicentro di un rinnovamento epocale, nella mostra "Da Giotto a Gentile", in corso nella città marchigiana fino al 30 novembre. Con un percorso che si snoda dalla Pinacoteca civica "Bruno Molajoli" alle cappelle delle chiese di Sant'Agostino e San Domenico, fino alla Cattedrale di San Venanzio, la mostra, curata da Vittorio Sgarbi, accende i riflettori su uno smisurato patrimonio artistico in gran parte "sommerso", poco noto al grande pubblico, e inscindibile dal contesto. Da Fabriano, infatti, sul finire del 1200, ebbe inizio quel processo di trasformazione economica, sociale e religiosa che ha dato origine alla civiltà dell'Occidente cristiano, con l'incontro fra il pauperismo francescano e l'operosità benedettina, testimoniato da eremi e monasteri urbani, la capacità manifatturiera legata alla produzione della carta, che da Fabriano si diffuse in tutta Europa, e la rivoluzione figurativa che, grazie all'attività di Giotto, dal cantiere assisiate si propagò rapidamente anche nel fabrianese.
È questo lo spaccato che la mostra regala, attraverso una serie di opere delicate e preziose, molte delle quali in prestito da prestigiosi musei italiani e internazionali, che raccontano soprattutto l'apertura delle Marche e di Fabriano al messaggio figurativo e alla rivoluzione espressiva che scaturirono con Giotto, dalla seconda metà del Duecento, dalle navate della Basilica di Assisi.
Tra i pezzi in mostra, alcuni dei quali restaurati per l'occasione, figurano capolavori di arte pittorica e plastica, soprattutto lignea. Oltre alle opere di Giotto (dal "San Francesco" al "San Giovanni Battista") e Gentile da Fabriano, fra cui le "Stimmate di San Francesco", la "Crocefissione" (dal polittico di Valle Romita, ora conservata nella Pinacoteca di Brera) e la "Madonna dell'umiltà" (dal Museo nazionale di San Matteo di Pisa), una sezione della mostra è dedicata ai dipinti su tavola realizzati da Allegretto Nuzi dopo il suo rientro dalla Toscana in occasione della peste del 1348. Tavole e polittici caratterizzati da figure ispirate ai modelli fiorentini e senesi, rielaborati in chiave cortese, come testimoniano le varie redazioni della "Madonna dell'Umiltà". Ma non mancano anche opere di Cimabue, Pietro Lorenzetti, Bernardo Daddi, Francescuccio Ghissi e del Maestro di Campodonico, a cominciare dagli affreschi staccati della "Crocefissione" e dell'"Annunciazione e flagellazione". (La Repubblica)
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