cronaca

Utero in affitto: reato anche se la madre non riceve un corrispettivo

Redazione
Pubblicato il 20-02-2019

La sentenza della Cassazione conferma l'illiceità del fatto anche senza ricevere un compenso

Secondo la Cassazione la ricezione di un corrispettivo non è elemento necessario per l’integrazione del delitto previsto per colui che ceda il minore o si ingerisca nella sua consegna in violazione dell’art. 71 l. n. 184/1983. Lo ha affermato la Suprema Corte con sentenza n. 2173/2018.

Il caso. La Corte d’appello di Napoli ha confermato la sentenza con la quale il Giudice per le indagini preliminari aveva condannato il padre biologico di un minore per aver, insieme alla propria compagna, partecipato all’accordo con cui un medico ginecologo aveva loro promesso, dietro corrispettivo, l’affidamento di un nascituro.

L’accordo prevedeva, inoltre, l’alterazione dello stato di nascita del neonato da parte del medico in modo che risultasse figlio naturale della coppia affidataria, fattispecie che non si era poi realizzata per un imprevisto sopravvenuto al momento della trasmissione dell’atto all’Ufficio di Stato civile del Comune.

La madre biologica
, nello specifico, era stata riconosciuta responsabile sia del delitto ex art. 71 l. n. 183/1984 per essersi prestata consapevolmente alla consegna del proprio figlio pur senza partecipare all’accordo economico, sia del delitto di simulazione del reato per aver denunciato, circa tra mesi dopo il parto, l’avvenuta illecita operazione di consegna del proprio bambino attribuendo però la gravidanza a una violenza sessuale mai avvenuta. Avverso tale sentenza la coppia ha proposto ricorso per cassazione.

Quando la presenza di un corrispettivo è condizione di punibilità. Secondo la Suprema Corte i motivi dedotti dai ricorrenti sono in parte inammissibili e in parte infondati. In particolare, si ritiene infondata la questione di diritto dedotta in relazione alla fattispecie di reato prevista dall’art. 71 l. n. 184/1983. Infatti, tale norma non richiede che l’affidamento illegale del minore sia avvenuto nell’ambito di una procedura formale di adozione ed esige ai fini dell’integrazione del reato che vi sia stato il pagamento di un corrispettivo economico o di altra utilità solo per chi riceve il minore in illecito affidamento con il carattere della definitività e quindi della tendenziale stabilità, non essendo tale elemento necessario per l’integrazione del delitto nei confronti di colui che ceda il minore o si ingerisca nella sua consegna, essendo previsto anche un aggravamento di pena nel caso in cui il fatto sia commesso da un genitore.

Differenze con il reato di alterazione di stato. Non si può ravvisare poi nessun contrasto tra le sentenze citate nei motivi di ricorso (Cass. 20 gennaio 1987, n. 3659 Cass. 16 ottobre 2012, n. 40610 e Cass. 18 gennaio 2016, n. 1797) che si riferiscono a problematiche differenti che non rilevano nel caso di specie. Sulla base dell’orientamento delineato da tali sentenze, infatti, si è solo affermato che in caso di alterazione della filiazione naturale ci si trova al di fuori dell’operatività del reato previsto dall’art. 71 l. n. 184/1983 poiché l’inserimento in una nuova famiglia si realizza per effetto della falsa certificazione di stato senza ricorso all’istituto dell’adozione mentre nel caso in cui non vi sia alterazione dello stato civile del neonato si configura il reato ex art. 71 l. cit. in quanto l’inserimento della famiglia affidataria avviene in violazione dell’istituto dell’adozione.

Nella fattispecie in esame il ricorrente non ha alcun interesse a vedersi riconoscere l’integrazione del più grave reato di alterazione di stato (sia pure nella forma del tentativo) che costituisce la fattispecie alternativa a quella accertata in fatto e ritenuta nella sentenza impugnata. Non assume, pertanto, rilievo nel caso concreto stabilire se possa configurarsi il concorso formale tra i reati di alterazione di stato ex art. 567 c.p. e di affidamento illegittimo di minori ex art. 71 l. cit. o se le relative fattispecie si pongano in rapporto di reciproca alternatività l’una con l’altra. La Cassazione pertanto rigetta i ricorsi.

La Stampa - ilfamiliarista.it

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