cronaca

In salvo con 7 nipotini. Dall'Eritrea alla Sicilia, la storia di una nonna coraggio

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Sul porto, è talmente esile, che a prima vista non la scorgi. Sembra poter cadere da un istante all'altro. Sabato 7 agosto, al porto di Augusta è sbarcata un'ultrasettantenne in fuga dall'Eritrea (la sua data di nascita precisa non se la ricorda). Una nonna con i suoi 7 nipotini, il più grande M. di 15 anni e il più piccolo I. di 2 anni. Sbarcati tutti insieme, appiccicati l'uno all'altro, increduli di essere vivi.




Nel viaggio dal Sudan (dove sono rimasti per due anni, dopo la fuga dal loro villaggio in Eritrea) alla Libia, non si sono mai lasciati le mani, tenute strette strette per un intero mese e mezzo, 45 giorni esatti. Il più grande dei nipoti ha sorretto la nonna, non mollandola un solo istante. Sarebbero potuti morire dieci volte, di disidratazione sui tir sotto il sole sahariano a 50 gradi, scivolare dall'imbarcazione, venir soffocati sulla barca, feriti o uccisi. Ma eccoli qua, tutti insieme sul porto e le parole svaniscono.



Dopo le prime attenzioni e cure, stanno tutti bene, le parole lente risalgono. Sulla barca, per otto giorni consecutivi, la mamma, accompagnata dal marito (soccorso e sbarcato a Messina), badava a tutti loro. Li idratava con la poca acqua, nemmeno un bicchiere al giorno, e sulla barca era pure mista alla benzina. Uno a uno sono svenuti, i bimbi più piccoli prima, la nonna, poi il nipote grande che ha pure viaggiato mentre era preso da un attacco di asma. E infine, lei stessa, è svenuta. Non ricordano. Sanno solo che gli italiani li hanno soccorsi. Le parole allora sono deboli per dire l'intensità di questo arrivo-incontro. Si parla tra sguardi e sorrisi, dopo gli abbracci e saluti rituali.




Nell'ambulatorio mobile di Emergency nel porto di Augusta, che funziona 24 ore su 24, nelle prime cure ai migranti sbarcati, ci si parla grazie all'intermediario del mediatore culturale eritreo per scherzi del destino, proviene dalla stessa zona della famiglia sopravvissuta. Un intero gruppo familiare arrivato vivo al completo, per giunta dall'Eritrea, è una storia unica di una fuga riuscita. Se si conoscono gli abissi della fossa comune Mediterraneo, i predoni e milizie del deserto, gli orrori e abusi prima della partenza, ammassati nei capannoni, e le violenze nella traversata, allora davvero questa storia ha dello straordinario. Non si sa quante volte avrebbero potuto essere disuniti o perdere un membro della famiglia.




Quando chiedo a J.A, ormai capofamiglia di quest'epica, con quale coraggio ha pensato di affrontare un tale viaggio con una nonna appresso e bimbi piccolissimi, e a cosa, secondo lei, si deve questa risoluzione felice, mi guarda diritto e dice:"Non avevo scelta". Aggiunge: "Non potevo lasciare che i miei bimbi finissero arruolati nell'esercito a vita, e le ragazze senza futuro. Quando sono partita mi hanno tutti trattata da folle, e non ho mai avuto la certezza che saremmo arrivati. Ma è il loro futuro che mi ha guidata. E siamo vivi". E come è riuscita a convincere la nonna, settantenne, a lasciare il suo villaggio di una vita per attraversare a piedi mare e monti di sabbia? "Per amore dei nipotini". Interrompe M. il più grande "Comunque, sai, la nonna era molto più forte di noi tutti. Non ha mai mollato".




Allora noi, rimaniamo silenziosi, le lacrime trattenute imperlano gli angoli degli occhi, i pensieri frullano nella testa. Qui in Italia ci lagniamo per una minima cosa. Di fronte a noi, ci sono una nonna e un bimbo di due anni che hanno attraversato deserto e mare, perché volevano vivere liberi. Al momento di scattare la foto J.A mi dice: "Sai questo non è nostro volto, non abbiamo più nostro volto". Il suo è bruciato e ha le macchie del sole del viaggio. Io la rassicuro è bellissima, allora vola il suo sorriso. (Flore Murard-Yovanovitch - Huffington Post)

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