cronaca

Isis punta ai porti in Libano per uno sbocco sul Mediterraneo

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Il Califfo vuole uno sbocco al mare per lo Stato Islamico ed ha ordinato ai comandanti delle operazioni in Siria di trovarlo a Tripoli, nel Nord del Libano. A rivelare la scelta strategica di Abu Bakr al-Baghdadi, leader dello Stato islamico (Isis), è Ahmed Mikati uno dei suoi «colonnelli» catturato in ottobre dall’esercito libanese. 

Mikati è stato arrestato a Dinnieh, l’intelligence di Beirut - libanesi ed Hezbollah - lo considera uno degli uomini «più importanti di Isis» nel Paese dei Cedri e il contenuto degli interrogatori inizia solo ora ad affiorare sulla stampa locale. Fra le informazioni più strategiche che ha rivelato c’è il legame fra l’offensiva di Isis nella provincia siriana di Homs - all’epoca in fieri ma ora in pieno svolgimento - e la richiesta del Califfo di «penetrare nel Nord del Libano» per «creare un Emirato nella città di Tripoli». L’offensiva di Qalamun, lungo il confine orientale della Valle della Bekaa, dovrebbe dunque aprire il terreno ad una penetrazione nelle aree settentrionali del Libano, a forte maggioranza sunnita, puntando a Tripoli che al momento è divisa a metà fra sunniti ed alawiti. Quando gli ufficiali della sicurezza hanno chiesto al prigioniero di spiegare il progetto dell’«Emirato», la risposta è stata nella «necessità di un porto sul Mediterraneo».




L’obiettivo economico 

Il primo e più importante motivo, ha spiegato Mikati, è «di natura economica» perché il Califfo vuole «trovare uno sbocco al Mediterraneo al fine di esportare il greggio estratto soprattutto in Iraq ma anche in Siria». Isis avrebbe già pianificato, secondo le indiscrezioni trapelate, un sistema di trasporto del greggio con cisterne via terra lungo l’arteria Mosul-Raqqa-Homs che dovrebbe terminare a Tripoli, per consentire al Califfato di «non dipendere più dai trafficanti che operano in Turchia e altrove». Il secondo motivo dell’urgenza del porto riguarda «il traffico di armi» per la possibilità di far attraccare navi cargo capaci di portare a destinazione armi pesanti, come tank e blindati.




È uno scenario che lascia intendere quanto la struttura dirigente del Califfato stia pianificando un’economia su grande scala ed anche un conflitto di lunga durata. Ultimo, ma non per importanza, il «terzo motivo» illustrato dal «colonnello» ovvero la possibilità di «usare il Mediterraneo per operazioni contro gli infedeli»: dai barchini-kamikaze allo spostamento di terroristi fino alla pirateria. Sono rivelazioni che hanno fatto riconsiderare alla sicurezza libanese quanto avvenuto nel 2012 con la barca Luffallah II, intercettata mentre portava armi ai ribelli siriani: è questo tipo di operazioni che il Califfo considera necessarie. Forse non è un caso che nelle ultime settimane le truppe siriane, sostenute da Hezbollah, hanno accresciuto la pressione sui monti di Qalamoun, infliggendo ingenti perdite ai contingenti Isis che dovrebbero aprire la strada alle milizie jihadiste verso Tripoli.




Il fronte libico 

Il contenuto degli interrogatori di Ahmed Mikati è oggetto di interesse per l’anti-terrorismo europeo in ragione delle implicazioni che può avere sull’altro teatro di operazioni di Isis nel Mediterraneo: la Libia. I jihadisti infatti si sono insediati a Derna prendendo il controllo del suo porto a Ras al-Helal, che dista 306 km dall’isola greca di Creta ovvero appena 8 km in più della distanza da Tripoli (in Libia) a Lampedusa. E il successivo tentativo di insediarsi a Sirte, riuscito solo in parte, ha confermato l’interesse per il controllo di aree con strutture portuali. (La Stampa)

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