cronaca

CAMPANIA, LA TERRA DEI FUOCHI BRUCIA ANCORA

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

«Non pagheremo più le tasse. Daremo i nostri soldi a un’agenzia di investigazione privata in grado di individuare le fabbriche abusive che sversano e incendiano veleni nelle nostre terre, ci autogestiamo”.

«Non pagheremo più le tasse. Daremo i nostri soldi a un’agenzia di investigazione privata in grado di individuare le fabbriche abusive che sversano e incendiano veleni nelle nostre terre, ci autogestiamo”. Luigi Costanzo, medico di famiglia da sempre in prima linea contro i roghi tossici nella provincia di Napoli, non usa mezzi termini. L’annuncio non è per niente provocatorio. E’ un’ipotesi sulla quale insieme ad altre associazioni sta lavorando sul serio. Già sono state contattate alcune agenzie investigative. Hanno chiesto un preventivo. “Partiremo da alcuni comuni come Scampia, Giugliano, Caivano. Siamo convinti che ci costerà meno dei militari inviati dal Governo e daranno più risultati”.

Eppure il Governo ha varato due leggi, una sugli ecoreati e l’altra (Dl 136 del 2013 convertito in legge il 6 febbraio 2014) che porta proprio il nome “Terra dei fuochi”; ha inviato i militari, nominato un commissario per le bonifiche, un vice prefetto per l’emergenza roghi. Il 6 luglio scorso la Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti ha dedicato l’ennesima seduta al tema. Inoltre la Prefettura di Napoli afferma che in seguito all’intervento legislativo il numero dei roghi è calato del 50% in provincia di Caserta e del 30% in provincia di Napoli. Ma “la terra dei fuochi brucia più di prima” dicono i comitati con un hashtag su twitter, promosso dal giornalista Sandro Ruotolo.

Per capire cosa non funziona, al punto da aver provocato una nuova ondata di proteste, ritorniamo negli stessi luoghi di tre anni fa quando (era il 31 luglio 2012) realizzammo la prima videoinchiesta sui roghi tossici: Orta di Atella, Afragola, Acerra, Casalnuovo, Caivano, Villaricca, San Marcellino, Casapesenna, Giugliano. Il confronto con le immagini d’archivio è impietoso. Se è vero che alcune zone sono state ripulite, molte altre sono uguali a prima, peggio di prima. Situazioni come quella che registriamo su una strada provinciale (la San Marcellino - Casapesenna) rasenta l’incredibile. Chilometri di strada costeggiata da sacconi bianchi di rifiuti. Alcuni contengono materiale di risulta delle campagne ma altri sono pieni zeppi di plastica, vetro, stoffa. E amianto, immancabile in ogni sversatoio abusivo.

Sbagliando strada ci ritroviamo in un viottolo campestre nell’hinterland di Villaricca (Ce). Da lontano si vede la solita chiazza bianca dei sacchi. Ma sono diversi dai precedenti, c’è la scritta “Rifiuti pericolosi” su un lato e “Pericolo contiene amianto” dall’altra. E’ colmo di lastre di eternit. Apriamo un borsone abbandonato lì vicino, cade polvere biancastra: amianto triturato. Letale. Il tutto è frammisto a buste dell’immondizia, inerti dell’attività edilizia, pneumatici esausti e pellicole di asfalto. “In tante zone stiamo rinvenendo l’amianto confezionato a abbandonato in questo modo - ci spiega un addetto alla sicurezza del territorio di Afragola -. Sono le stesse ditte autorizzate che per risparmiare sullo smaltimento lo scaricano nelle terre abbandonate”. E non solo loro.

Ad Orta di Atella (Ce), in una zona che doveva ospitare i Piani per gli insediamenti produttivi (mai realizzati), oltre a enormi quantità di ritagli di tessuti troviamo rifiuti ospedalieri pericolosi a rischio infettivo. Stessa situazione poco più avanti, in quella che fu l’Eurocompost, un’azienda che produceva compost biologico. E’ diventata un inceneritore a cielo aperto. Nei locali all’interno ci sono decine di contenitori di acido borico, solventi e coloranti, nonostante ci sia stato un grosso incendio appena una settimana prima. “Ne portano di nuovi ogni settimana. Qui i vigili del fuoco non sono mai venuti - denuncia Vincenzo Tosti del Coordinamento Comitati Fuochi -. Così come non arrivano in decine di altri posti. E siccome il censimento governativo si basa sul numero di interventi dei vigili del fuoco si capisce presto perché secondo loro i roghi tossici sono diminuiti. Semplicemente, non sono censiti”.

Ai quotidiani roghi di scarti di lavorazione industriale si sono aggiunti i roghi dolosi. Sono state prese di mira le discariche. In un mese ci sono stati cinque incendi a Giugliano. Tutti all’interno di siti sequestrati dalla magistratura e interessati da processi di bonifica. In alcuni casi a prendere fuoco sono state le palazzine amministrative. Conservavano i formulari di identificazione dei rifiuti utili a ricostruire cosa è stato davvero conferito in discarica. Poi ci sono gli attacchi vandalici a beni confiscati alla camorra e gli attentati incendiari di questi giorni a imprenditori anticlan . Ci dovrebbero essere i militari a tenere tutto sotto controllo. Ma anche su questo, semplici cittadini si stanno autogestendo. Ad Acerra un gruppo di giovani armati solo di mascherine e pettorine catarifrangenti ogni sera perlustra i siti a rischio. “Sono sempre gli stessi da anni - dice con sconforto Vincenzo Petrella, del Gruppo antiroghi di Acerra -. Non capiamo come sia possibile, basterebbe presidiarli per riuscire a tracciare le fabbriche che scaricano qui. Tante volte dei furgoncini hanno fatto marcia indietro quando si sono accorti che c’eravamo noi”.

Ad accorgersi degli abusivi dovrebbero essere le telecamere. Ci sono. Sono state installate lungo un’area che ritroviamo bruciata per chilometri. Non funzionano, non hanno mai ripreso nessuno. Le uniche certezze qui sono quelle che hanno riscontrato i magistrati in 82 inchieste (dal 1991) sui traffici di rifiuti. Ventiquattro anni di indagini che hanno portato alla luce 10 milioni di tonnellate di rifiuti. Ma sui rifiuti che poi vengono incendiati non c’è stata negli anni la stessa attenzione. Perché quelli sono figli dell’economia sommersa. A bruciare sono soprattutto scarti tessili, pellame, collanti, solventi. Di fabbriche in nero che si trovano sparse su tutto il territorio della terra dei fuochi, negli scantinati dei palazzi di periferia, in capannoni anonimi. “Colpire il nero significa colpire l’intera economia su cui si basa questa regione, facendo salve le eccellenze che pure ci sono. Ecco perché abbiamo la fondata impressione che non si voglia intervenire deliberatamente in modo risolutivo. Del resto, far chiudere le centinaia di piccole fabbriche in nero sarebbe un disastro sociale”. Lo dice Michele Buonomo, presidente campano di Legambiente.

A distanza di un anno dalla promulgazione della legge sulla Terra dei fuochi (un termine coniato proprio da Legambiente nel Rapporto sulle Ecomafie del 2003) elaborò un dossier che ne evidenziava tutti i punti deboli. Dei duemila siti inquinati solo lo 0,2 % era in corso di bonifica, il 21,5% era stato analizzato o caratterizzato mentre nel 74% dei casi non si registrava nessuna attività di recupero. “Sono passati altri quattro mesi da quel report e posso confermare che sostanzialmente i dati sono questi, le variazioni sono state minime. Non siamo più allo 0,2% ma comunque sotto l’1%”. Una legge regionale (la n. 20 del 2013) imponeva ai comuni della Terra dei fuochi il Registro dei roghi. “Quasi nessuno lo ha. La legge lo prescrive ma non lo realizza, così come tante altre buone intenzioni” commenta laconico Buonomo. Corriere della Sera

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