cronaca

Avidità del denaro. Cosa direbbe oggi san Francesco?

Felice Accrocca
Pubblicato il 30-11--0001

Nefandezze di ogni tipo si fanno da sempre per il denaro: la recente vicenda romana è solo la punta di un iceberg di dimensioni ben più grosse di quanto non appaia e di quanto si possa immaginare. Una vicenda, quest’ultima, che grida vendetta al cospetto di Dio, perché perpetrata (non è la prima – purtroppo – e non sarà l’ultima) a danno di poveri cristi che non possono difendersi e che dal torchio della vita sono stati già abbastanza spremuti. Il quotidiano francese Le Monde parlava di un nuovo sacco di Roma (Rome mise à sac, titolava), l’ultimo di una lunga serie.

Cosa direbbe oggi Francesco a questi amanti inveterati delle mosche (così lui chiamava – e valutava – i denari), che alle mosche si prostituiscono senza ritegno?

Francesco era mercante e figlio di mercante, quindi ben conosceva il potere di seduzione della ricchezza per il senso di onnipotenza che questa può dare all’uomo. Mise dunque in guardia i suoi con parole forti: “Nessun frate prenda o riceva o faccia ricevere pecunia o denaro per nessuna ragione, se non per una manifesta necessità dei frati infermi; poiché non dobbiamo riporre né attribuire alla pecunia e al denaro maggiore utilità che ai sassi”. Il frate che avesse osato contravvenire una tale disposizione sarebbe stato ritenuto da tutti “un falso frate e un ladro e un brigante, e un ricettatore di borse”, a meno che non si fosse pentito “sinceramente”. Nel suo processo di conversione, egli intuì che doveva operare una scelta di campo, che finiva per esprimersi anche in una scelta di campo sociale, perché il Figlio di Dio aveva vissuto poveramente nel tempo della sua permanenza tra gli uomini. Il divieto di accettare, raccogliere, o anche solo toccare denaro dava concretezza alla sequela Christi, mantenendo viva la condivisione con i poveri e gli emarginati, che sono il segno distintivo della presenza di Cristo Signore nel mondo e suoi vicari, perché eletti a rappresentarlo.

Tale convinzione non venne mai meno in lui, che su quest’aspetto manifestò accenti di vera e propria durezza. Se poi si prova a dare anche solo un’occhiata ai sermoni di Antonio di Padova si troveranno parole ancora più dure. Perché una tale rigidità?

Perché Francesco, Antonio e tanti altri santi sono stati così duri contro l’avidità del denaro? Perché sapevano bene che non è l’uomo a possedere il denaro, ma è il denaro a possedere l’uomo, e che quanti credono di possedere altri per mezzo del denaro sono in realtà posseduti da una febbre che li divora: sono malati e non lo sanno e la loro malattia tanto dolore produce a persone che non sanno e non possono difendersi, ma che un giorno li osserveranno allo stesso modo in cui il povero Lazzaro guardava il ricco implorare il padre Abramo perché fosse lenito il dolore provocatogli da quella fiamma che lo torturava!

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