cronaca

'Non guardare il mio ragazzo' con una scusa in cinque lo riducono in fin di vita

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Luca è riuscito ad allontanarsi, a tornare a casa e a raccontare tutto alla fidanzata, spiegando che li avevano massacrati soltanto perché li credevano omosessuali, ma aveva un ematoma cerebrale

Per risvegliare il branco è stata sufficiente un’occhiata: «Gay di m..., che c... guardi, il mio fidanzato?», gli ha detto la ragazza davanti a lui. Luca in quel momento era seduto sull’autobus con un amico e aspettava solo di tornare a casa. «Niente, ero sovrappensiero». E però gli altri cercavano la rissa e per entrambi si è messa malissimo: li hanno pestati in sei, fra loro due donne, infierendo sul volto, sulle gambe, sulla schiena, usando pure delle catene. 

Luca è riuscito ad allontanarsi, a tornare a casa e a raccontare tutto alla fidanzata, spiegando che li avevano massacrati soltanto perché li credevano omosessuali. Non sapeva di avere un ematoma cerebrale, che dopo una settimana lo ha mandato in coma, ridotto in fin di vita e un intervento di neurochirurgia lo ha salvato in extremis. 

Luca non parla più 

Luca ancora non parla e lo alimentano a fatica; ma in questi giorni i suoi familiari, e tutti quelli che gli vogliono bene, hanno ricominciato a sperare di rivedere il ragazzo di prima. 

L’aggressione si è trasformata (anche) in un’inchiesta giudiziaria per tentato omicidio, coordinata dal sostituto procuratore Vittorio Ranieri Miniati, che ha ricevuto due relazioni dei carabinieri nelle quali si fa esplicitamente riferimento alla probabile ritorsione omofoba. Di più: gli inquirenti hanno messo nel mirino un gruppo di giovani che vivono in un quartiere popolare di Genova, nessuno dei quali è stato al momento identificato con certezza. L’unica denuncia è scattata per «favoreggiamento» nei confronti dell’autista del bus, che ha visto tutto ma non ha chiamato né i soccorsi né la polizia.

La violenza 

Chi può aver compiuto una violenza del genere, con motivazioni simili nella città che all’inizio di luglio aveva ospitato lo Human Pride, che ha istituito il registro delle unioni civili e dove mai si era vissuto un episodio così? L’unico appiglio, per chi indaga, è rappresentato dalla sequenza del pestaggio, ricostruita fra l’altro attraverso dichiarazioni indirette: il giovane con cui Luca si trovava quella sera ha lasciato Genova, e l’unica in grado di fornire qualche dettaglio utile agli investigatori in questa fase è la compagna del ferito più grave.

La ricostruzione 

Per orientarsi bisogna quindi tornare alla notte del 14 luglio. Luca (il nome di fantasia e i riferimenti alla vittima sono necessariamente generici, per evitarne la riconoscibilità al di fuori della cerchia degli affetti più stretti), quarantenne, ha trascorso la serata nel centro storico dove lavora, bevendo qualcosa poco dopo. Alle 3,49 manda un sms alla fidanzata, in cui scrive che di lì a poco sarà a casa poiché è in procinto di prendere il bus. Ma quando salgono sull’ “1” succede il finimondo. Dopo le botte scendono dal mezzo, barcollano e però entrambi riescono ancora a camminare. Luca è quello che sta peggio, rientra in taxi, racconta a Chiara (nome di fantasia) quel che gli è capitato, ma sulle prime ribadisce di non voler andare in ospedale. 

Fra il 21 e il 22 luglio le condizioni si aggravano, Luca sta malissimo e Chiara chiama un’ambulanza perché lo accompagni al Pronto soccorso. La Tac è allarmante, dall’ospedale Villa Scassi lo dirottano al Galliera per operarlo d’urgenza, e Luca entra in coma farmacologico. Solo il 23 luglio i carabinieri sono informati per la prima volta di quel ragazzo in condizioni gravissime (la prognosi è ancora riservata), che ormai non può raccontare nulla.

Testimone indiretta 

Ci prova Chiara, allora, che riferisce le confidenze del compagno nelle ore successive al pestaggio, che ha provato a mettersi in contatto con l’amico. Spiega agli investigatori che il look del suo compagno è molto eclettico, e ai delinquenti del bus numero “1” tanto potrebbe essere bastato per insultarlo e pensare a lui e al suo coetaneo come a una coppia. «Daje», è scritto in uno degli ultimi messaggi sul suo profilo Facebook, inviato da chi lo conosce e spera di vederlo presto nei posti di sempre.  La Stampa

Cari amici la rivista San Francesco e il sito sanfrancesco.org sono da sempre il megafono dei messaggi di Francesco, la voce della grande famiglia francescana di cui fate parte.

Solo grazie al vostro sostegno e alla vostra vicinanza riusciremo ad essere il vostro punto di riferimento. Un piccolo gesto che per noi vale tanto, basta anche 1 solo euro. DONA