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Un colpo alla diplomazia della misericordia

Nello Scavo ANSA / MATTEO BAZZI
Pubblicato il 15-04-2017




di Nello Scavo, giornalista

Destabilizzare l’Egitto per estendere la “terza guerra mondiale a pezzi”, costringendo l’intero Mediterraneo a un conflitto permanente. Chiunque è da ostacolo a questo piano deve essere spazzato via. A cominciare dagli amici del dialogo.

I cristiani copti oltre ad essere la “minoranza” più cospicua nell’intero quadrante mediorientale, sono anche i testimoni di quel “porgere l’altra guancia” che ha scongiurato più volte una guerra civile non solo in Egitto. E dal Cairo, dove i massimi esponenti dell’Islam spalancano le braccia a Francesco, arriva un messaggio di guerra, un avvertimento che però non intimidisce il Pontefice.

Dal 9 ottobre 2011 ad oggi, sono almeno una decina gli attacchi su grande scala contro i cristiani copti. Numeri che non dicono di quella pressione a bassa intensità che vede i credenti esposti ogni giorno al rischio di persecuzioni.

Alcuni analisti sostengono che i cristiani vengono colpiti perché “tradizionalmente protetti” dalle autorità egiziane, perciò esposti alla rappresaglia dei fanatici. Una menzogna che fa il gioco dei terroristi. Proprio nell’ottobre 2011 durante un corteo di duemila copti davanti alla Tv di Stato per chiedere che non venisse demolita una chiesa, le forze armate caricarono i manifestanti: 36 morti. Nove mesi prima, nella notte di Capodanno, ad Alessandria, un kamikaze si fece esplodere davanti a una chiesa: 21 morti. Si disse che a quell’epoca le stragi potessero avvenire nell’impunità perché il Paese era caduto nelle mani della potente setta oltranzista dei “Fratelli Musulmani”. Una spiegazione di comodo, purtroppo smentita dal sangue. Perché se è vero che nell’agosto agosto 2013, una quarantina di chiese cristiane vennero distrutte come rappresaglia per la strage - a cui i cristiani erano estranei - dei sostenitori  dell’allora presidente Morsi, esponente dei Fratelli Musulmani deposto pochi giorni prima; è vero altresì che negli anni a venire, quando il potere verrà ripreso dai militari attraverso l’attuale presidente Al Sisi, gli attacchi ai copti non diminuiranno, come dimostra l’esplosione rivendicata dall’Isis l’11 dicembre 2016,  nel pieno delle celebrazioni in vista del Natale, nel complesso della cattedrale di San Marco, al Cairo: un kamikaze fece  27 morti.

“Fin dall’inizio dell’apparizione dell’Isis il Papa ha voluto distinguere gli atti di terrorismo compiuti da fanatici esaltati dalla religione in sé.  Si è sempre rifiutato di associare l’Islam come tale al terrorismo”, ha ricordato l’arcivescovo Angelo Becciu, della Segreteria di Stato vaticana e che seguirà il Papa in Egitto nel viaggio organizzato il 28 e 29 aprile con il motto “Il Papa di pace nell’Egitto di pace”.

Un pellegrinaggio che non mancherà di ricordare i 21 martiri copti trucidati da uomini del Daesh in Libia: mentre venivano sgozzati pregavano pronunciando a voce alta il nome di Gesù.  E non verrà dimenticata neanche la mattanza pressoché quotidiana nel Sinai, dove le comunità cristiane, lasciate senza protezione, vengono bersagliate e dove centinaia di migranti cristiani provenienti dal Corno d’Africa, vengono schiavizzati, brutalizzati, perfino uccisi allo scopo di trafficare i loro organi.

Un martirio che avviene dentro al grande gioco della politica. Se davvero la duplice strage è ascrivibile all’Isis, sarebbe questa la riprova dell’avvenuta saldatura tra il Daesh e i Fratelli Musulmani, ed entrambe le sigle riconducono  al “patronato” di Arabia Saudita e Qatar, i due alleati che hanno prima alimentato il caos siriano, che stanno bombardando lo Yemen e che non si rassegnano ad un ruolo da comprimari nel ribollente scacchiere mediorientale.

Perciò l'attacco ai copti è anche un "avvertimento" a quella "diplomazia della misericordia", che sta riaprendo canali di dialogo e prospettive di pace

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