attualita

Tre anni senza Lucio: Francesco fammi volare

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Mi svegliai che era appena l'alba ed ero in una cella del convento di Assisi, pronto per andare alla messa, ed erano quasi le 6.00 quando arrivai nella cappella dove un padre officiava. Mi accorsi che il sonno era più denso del previsto e tutt'altro che finito, tant'è vero che appena cominciata la messa, caddi in un torpore anomalo e diverso dal classico rintronamento mattutino. Così che ricominciai a sognare. Questo nuovo sogno si ricollegava al precedente, mano a mano che proseguiva mi rendevo conto che era come il secondo tempo del primo sogno, ed ebbi la sensazione netta, e questa volta più precisa, che il sogno era Francesco.

Francesco bambino, ragazzo e vecchio, tutti insieme. Diverso da come lo volevano tutti, madre, padre, amici. Diverso da come lo volevano tutti ma non diverso da come lo voleva Dio. Io incredulo mi avvicinavo e dicevo: “Ma sei proprio tu?” e lui, a mezzo sorriso, con l'aria di sfida che si ha nei confronti degli increduli, mi disse, indicando il saio: “Tocca” e in quel momento, appena ebbi tra le dita il tessuto del Santo, sentii l'odore del fieno tagliato, mi sembrò di essere in mezzo ad un campo di grano.

Ritrassi la mano come da una fiamma o comunque da una scottatura, e mi sembrò che l'aria si scaldasse e dall'aria uscisse come un suono di battere d'ali che puoi sentire nelle piazze d'Italia o comunque nei paesi dove i colombi planano sui turisti. Fu proprio quel suono a rassicurarmi che Francesco era davvero Francesco, che la piazza era una delle tante piazze che normalmente si visitano la domenica e che io ero contento di essere lì.

Senza alcun timore chiesi: “Cosa vuoi da me?” e lui, senza l'aria di voler correggermi e forse anche un po' divertito, rispose: “Cosa vuoi tu da me? Tu mi conosci ed io conosco te” e io, un po' ruffiano, un po' per compiacerlo e un poco per i suoi piedi sporchi di terra e di fango che spuntavano dal saio, gli dissi, chiedendolo: “Camminiamo?”. E cominciammo a girare sfiorando i muri della piccola chiesetta dove l'altro frate diceva messa e fu un parlare silenzioso se non addirittura muto, se non per le risposte che Francesco dava all'altro padre mentre officiava come un qualsiasi chierichetto di una parrocchia di campagna intorno agli anni �30, comunque tra le due guerre mondiali.

Era curioso come le parole mi uscissero dalla bocca completamente mute e statiche, sembravano una fila di uova di gallina di un ordinato pollaio del Nord. Ma il mio cuore era un vulcano, i pensieri uscivano come lava e avevo la sensazione che fossero esattamente il contrario delle parole che li rivestivano. Francesco al mio fianco, mentre passava tra i banchi della chiesetta, con la stoffa del saio, li lucidava, li puliva, li ordinava in fila, come una qualsiasi servetta friulana faceva tutte le mattine nella casa dove lavorava. Passò anche davanti a una curiosa acquasantiera, che non era altro che una mano di pietra che nell'incavo teneva solo due o tre gocce d'acqua, e questa volta più decisamente mi sorrise dicendo: “Questo è un fiume, anche se fuori ci sono i fulmini”.

Non mi azzardai neanche a chiedergli la spiegazione di quello che mi aveva detto. Gli dissi solamente: “Anch'io” e lui rispose semplicemente: “Lo so”. Questo breve dialogo, fatto durante la messa alla quale partecipavo, mi causò un momentaneo senso di colpa, come se stessi disturbando la funzione, e che io fossi ancora bambino in collegio e l'assistente come al solito dicesse: “Sei il peggio di tutti” e io gli rispondessi con orgoglio: “Lo so” e lui, come se avesse fatto un tredici al totocalcio, al massimo del piacere, mi dicesse col dito puntato verso la porta: “Fuori!” Questo strano senso di colpa mi ha sempre seguito come un qualcosa di inadattabile al misticismo obbligato, un poco coatto, delle chiese, da San Pietro all'ultima chiesaccia del Bronx, mentre all'aperto mi sentivo vicino a Dio come una zolla vicino all'albero, o nella terrazza di casa mia di notte, sotto un cielo stellato mi perdo ancora oggi dentro una di quelle stelle.

Francesco ritrasse la mano dall'acquasantiera, mi guardò e mi disse che anche per lui era sempre stato così, che Dio è dappertutto, negli alberi, nelle piante, nei fischi lontani dei treni, nel filo spinato, nei denti e nelle bocche che sorridono come nelle lacrime degli occhi che piangono, per non parlare negli animali, perfino nel pallone quando entra nella porta e fa goal, e che forse, qualche volta, a Gesù in ritardo, è capitato di saltare una delle grandi chiese addobbate e di aver continuato a pregare suo Padre per strada in mezzo al traffico.

Il suono della �R' nella parola �traffico' mi svegliò improvvisamente, ma mi svegliai con una grande stanchezza alle ali, come un passero che ha sbattuto contro l'inferriata della sua gabbietta. Mi resi conto che, per quanto meravigliosa e calda la chiesetta dove si svolgeva la funzione, quella strana atmosfera di dolce inconveniente che sentivo durante il sogno era finita e che il vero tempio, la vera casa di Dio, è la nostra anima, anche quella più buia o più difficile da raggiungere, e che Francesco siamo noi al momento della speranza, quando siamo in attesa e confusi e lo sono soprattutto i nostri sensi e, in un mondo come quello che ci circonda, la nostra pace.

E mentre pensavo e sentivo questo e il frate a conclusione della messa diceva: “La pace sia con voi” io gli risposi: “Francesco, fammi volare!”.

Il saluto della comunità Starai volando tra gli angeli e i santi di dio insieme a francesco...

“Francesco fammi volare” è il titolo che hai voluto porre all'inizio del tuo racconto dedicato al Patrono d'Italia.

E ora che è iniziato il tuo Secondo Tempo, come amavi definire “sorella morte”, starai volando tra gli angeli e i santi di Dio, intonando insieme all'Assisiate il Cantico delle Creature: “Laudato sii mi' Signore...”. Se ieri stavi con noi sotto il cielo di Dio e di Francesco, ora stai in quel cielo limpido.

La tua morte fa riflettere e pensare l'intero mondo della canzone e della musica, che accompagna le nostre esistenze di viandanti, di “viator”, in attesa dell'abbraccio definitivo con il Dio della Vita. Ci fai riflettere e pensare su come testimoniare la tensione spirituale e la ricerca silenziosa di Dio, presenti in ogni uomo. Due note musicali, queste, che vorremmo proporre a tutti coloro che per vocazione sono chiamati a cantare con il talento della voce le vicende e gli amori umani. Ecco perché dal cuore del francescanesimo, dal cuore del “giullare di Dio”, in punta di piedi vorremmo proporre ai nostri artisti a non aver timore di accordare queste due note nei propri spartiti musicali.

Benedetto XVI ha ricordato che l'arte, la musica è “epifania della bellezza di Dio”. Tu ci dicesti che questa affermazione è anche una tua convinzione interiore, perché è uno dei regali che il Cielo fa alla nostra anima e che per te era fonte d'ispirazione. Il tuo racconto, fratello Lucio, continua ora nel Secondo Tempo, che tu hai adombrato nel sogno di Assisi. E ne sperimenti la verità� “mi svegliai con una grande stanchezza alle ali, come un passero che ha sbattuto contro l'inferriata della sua gabbietta.

Mi resi conto che, per quanto meravigliosa e calda la chiesetta dove si svolgeva la funzione, quella strana atmosfera di dolce inconveniente che sentivo durante il sogno era finita e che il vero tempio, la vera casa di Dio, è la nostra anima, anche quella più buia o più difficile da raggiungere”. Pensosi e tristi per la tua morte, nella preghiera, ti affidiamo al Buon Dio. Ci piace pensarti mentre, attaccato al tessuto del saio di Francesco, dall'odore del fieno tagliato, sei introdotto nel campo di grano del Paradiso, realizzando il tuo sogno di “volare con Francesco”.

Laudato sii, mi Signore, per gli uomini, gli artisti e i santi che ci fanno volare...

Cari amici la rivista San Francesco e il sito sanfrancesco.org sono da sempre il megafono dei messaggi di Francesco, la voce della grande famiglia francescana di cui fate parte.

Solo grazie al vostro sostegno e alla vostra vicinanza riusciremo ad essere il vostro punto di riferimento. Un piccolo gesto che per noi vale tanto, basta anche 1 solo euro. DONA