attualita

SE TORNASSE FRANCESCO, PASQUA E CORAGGIO DELLA VERITA'

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Francesco, quando parlava ai frati e alla gente, sapeva andare dritto al cuore. Come quella volta che, implorato insistentemente da frate Elia, si recò a S. Damiano per predicare a Chiara e alle sue sorelle: «Quando furono riunite come di consueto per ascoltare la parola del Signore, ma anche per vedere il Padre, Francesco alzò gli occhi al cielo, dove sempre aveva il cuore e cominciò a pregare Cristo. Poi ordinò che gli fosse portata della cenere, ne fece un cerchio sul pavimento tutto attorno alla sua persona, e il resto se lo pose sul capo. Le religiose aspettavano e, al vedere il Padre immobile e in silenzio dentro al cerchio di cenere, sentivano l’animo invaso da grande stupore. Quando, a un tratto, il Santo si alzò e nella sorpresa generale in luogo del discorso recitò il salmo Miserere. E appena finito, se ne andò rapidamente fuori». Tommaso da Celano annota che tutte le sorelle scoppiarono pianto: «col fatto aveva insegnato loro a stimarsi cenere, e inoltre che il suo cuore non provava altro sentimento a loro riguardo che non fosse conforme a questo pensiero» (2Cel 207). 

Anche se vi accenna quasi di sfuggita, l’agiografo non tace il fatto che le sorelle si fossero riunite «per ascoltare la parola del Signore, ma anche per vedere il Padre». Tale disposizione, che rivelava un atteggiamento di venerazione per la persona di Francesco, finiva comunque per diventare un inciampo: il mezzo (Francesco) rischiava di sostituire il messaggio (la Parola del Signore). Ed era questo che egli non poteva né voleva assolutamente tollerare. Per tale motivo si premurò di ricordare loro la sua realtà di peccatore. Predicò così con quel gesto, certo paradossale, ma capace di rivelarsi più efficace di un fiume di parole. 

Ci sono rimasti poi frammenti dei discorsi che egli, negli ultimi anni di vita, teneva ai frati riuniti in capitolo. Ne stralcio alcuni frammenti, utili anche per noi. “Chiunque invidia il suo fratello per il bene che il Signore dice e fa in lui, commette peccato di bestemmia, poiché invidia lo stesso Altissimo, il quale dice e fa ogni bene” (Ammonizione VIII). “Il servo di Dio non può conoscere quanta pazienza e umiltà abbia in sé, finché gli si dà soddisfazione. Quando invece verrà il tempo in cui quelli che gli dovrebbero dare soddisfazione gli si mettono contro, quanta pazienza e umiltà ha in questo caso, tanta ne ha e non di più” (Ammonizione XIII). “Beato il servo, il quale non si ritiene migliore, quando viene magnificato ed esaltato dagli uomini, di quando è ritenuto vile, semplice e spregevole, poiché quanto l’uomo vale davanti a Dio, tanto vale e non di più” (Ammonizione XIX). 

“Quanto l’uomo vale davanti a Dio, tanto vale e non di più”. Sì, perché l’uomo non vale per la posizione che è riuscito ad acquisire, per il conto bancario che è stato capace di mettere insieme, per l’abito che indossa o per l’auto che guida. Non è, in fondo, una nuova schiavitù – alla quale stiamo velocemente assoggettandoci – quella dell’immagine, per cui bisogna essere belli a tutti i costi, magri e in linea, vestiti in modo costoso e all’ultima moda, fino a deprimersi quando non si riesce a rientrare nei livelli standard, o a cadere vittime dell’anoressia nel tentativo di far rientrare il nostro corpo entro argini non suoi? Una schiavitù e un terribile inganno, del quale ci si accorge – spesso – quando è troppo tardi. 

“Quanto l’uomo vale davanti a Dio, tanto vale e non di più”. Ci è richiesto il coraggio della verità, con noi stessi e con Dio. Il coraggio di guardarci dentro, senza bugie e senza finzioni, poiché sono ben altre cose che valgono davanti a Dio: “l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore” (1Sam 16, 7). Dobbiamo interiorizzare questo messaggio, perché Dio non ci chiede di trascinarci in un’altra Quaresima, ma di vivere una Quaresima altra! (Don Felice Accrocca)


Celebrare con Francesco il Mistero della Pasqua

San Francesco ha celebrato con la propria vita una meravigliosa sintesi del mistero della Pasqua. D’altronde, il dono sublime delle stigmate confermano che egli è rimasto – per sempre – innamorato del Crocifisso-Risorto che mai l’aveva abbandonato. Mentre noi oggi facciamo tanta fatica a comprendere la profonda unità del Triduo pasquale – perché il Giovedì santo anticipa sul piano sacramentale quello che avverrà nei giorni successivi (la morte di Croce e la risurrezione nella carne) –, il Poverello aveva ben chiaro in mente e nel cuore che la sua esistenza terrena non poteva non essere un continuo partecipare ai dolori di Cristo (come ci conferma l’Ufficio della Passione), alla sua umiltà e a quella forza della vita nuova che il Signore stesso aveva comunicato ai suoi discepoli nel giorno della risurrezione dai morti.
Il Giovedì santo, per Francesco, non è solo il giorno dell’istituzione dell’Eucaristia bensì, il momento in cui Cristo ha dato l’esempio più grande di umiltà e di servizio. Ecco perché affermerà nella Regola non bollata (6,3-4) che non si conceda ad alcun frate il titolo di priore e che i frati minori si laveranno i piedi l’un l’altro. Il frate minore è piccolo, l’ultimo, come Gesù che serve i suoi discepoli. La gioia e la pace, doni del Signore risorto, per Francesco, sono sempre legati al frutto della passione che toccò la carne del Verbo della vita. (Padre Eduardo Scognamiglio)

 

Cari amici la rivista San Francesco e il sito sanfrancesco.org sono da sempre il megafono dei messaggi di Francesco, la voce della grande famiglia francescana di cui fate parte.

Solo grazie al vostro sostegno e alla vostra vicinanza riusciremo ad essere il vostro punto di riferimento. Un piccolo gesto che per noi vale tanto, basta anche 1 solo euro. DONA