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Quando Roma 'unisce' gli ortodossi

Filippo Di Giacomo
Pubblicato il 30-11--0001

Dopo averne discusso per decenni, dagli anni Sessanta, i Patriarchi del mondo ortodosso hanno deciso: il prossimo giugno, dopo 1300 anni, tutte le Chiese ortodosse si riuniranno in Sinodo a Creta, un evento che inizialmente doveva tenersi ad Istanbul, ma che le attuali condizioni politiche dell’area hanno sconsigliato. «Quanti amici conterò durante il Sinodo di Creta, a giugno?» sta, probabilmente, chiedendosi in questi mesi il Patriarca Kirill. Per fargli sapere la risposta, Papa Francesco è volato a Cuba.

Per paradossale che sia, il grande riunificatore dell’Ortodossia contemporanea è stato il papato romano. Quando la sera del 5 gennaio del 1964 il Beato Montini abbraccia, nel salotto della residenza dello delegato apostolico di Gerusalemme il Patriarca Ecumenico Atenagoras, sa benissimo che il “Papa di Costantinopoli” ha in tasca un decreto d’espulsione del governo turco: l’ecclesiastico era cittadino americano e per i governanti di Ankara il capo degli ortodossi doveva essere necessariamente cittadino turco. 

All’epoca, si disse, che il provvedimento venne ritirato in cambio dell’apertura di rapporti diplomatici tra Turchia e Vaticano, la cessazione della rivendicazione di buona parte delle proprietà cattoliche confiscate (i cimiteri, subito trasformati in aree edificabili dagli speculatori del governo) ed alcuni gesti simbolici come la restituzione della bandiera strappata all’ammiraglio ottomano sconfitto a Lepanto, fino ad allora custodito nella Basilica di San Pietro. Se il “lumicino” ortodosso del Fanar, la sede del Patriarca, ormai ridotto a meno di 3000 fedeli, si è trasformata nella “luce” che tutti possono vedere, molto è dovuto alla “semplicità” con la quale, sempre più spesso, egli viene associato al ruolo e alle iniziative internazionali
 del suo “fratello” vescovo di Roma. Anche per questo, il Patriarcato di Costantinopoli sta avendo un profilo morale di peso crescente, pareggiando così il “peso” numerico (150 milioni di fedeli) del suo “fratello” Patriarca di Mosca e di tutte le Russie.

E i frutti già si vedono: qualche settimana fa, Bartolomeo è riuscito anche a sanare un annoso conflitto che divideva l’episcopato ortodosso delle Chiese Ceche di Slovacchia, “convincendo” il metropolita Rostislav a fare alcune concessioni diverse da quelle “consigliate” dal Patriarcato di Mosca. Ormai, l’equilibrio tra la più grande autorità numerica dell’ortodossia, quella di Mosca, e quella moralmente più “pesante”, quella di Costantinopoli, non è più evidente. A livello ecumenico, ormai gli incontri tra il Papa e il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, anche se tra fatiche ed incomprensioni, hanno abituato le Chiese Ortodosse greche a condividere con i cattolici segni e parole oranti. E se il Patriarca di Costantinopoli, nonostante i conflitti interni, sa con certezza che le Chiese Ortodosse greche camminano e agiscono insieme, non può fare altrettanto il Patriarca di Mosca che su simili attitudini da parte delle Chiese slave è obbligato a nutrire forti dubbi.

Esse, infatti, stanno sperimentando la stessa accoglienza che i loro immigrati nell’Unione Europea ricevono dalla Chiesa Cattolica la quale, oltre a non praticare alcuna forma di proselitismo, non fa alcuna difficoltà ad accettare la fondazione di circoscrizioni ecclesiastiche ortodosse sul proprio territorio, giungendo anche ad offrire chiese e conventi alle loro comunità. Tutto ciò, avendo migliorato le relazioni tra Vaticano e vari Patriarcati slavi, sta riducendo l’ortodossia russa ad un isolamento perlomeno imbarazzante. Una settimana prima dell’annuncio dell’incontro di Cuba, il Patriarcato russo aveva diffuso una nota sui cattolici ucraini di rito bizantino chiamandoli, per la prima volta, “cattolici di rito greco” e non più con il dispregiativo di “eterodossi uniati”.

Appena diffusa la notizia che il Papa di Roma e il Patriarca di Mosca si sarebbero incontrati all'aeroporto di Cuba il 12 febbraio, l’ortodossia russa ha tenuto a precisare: i due, non pregheranno insieme. Non è un dettaglio. E chi ha seguito il peregrinare dei Vescovi di Roma tra ortodossia greca e slava forse ancora ricorda la stizza con cui il patriarca di Bulgaria, nel maggio del 2002, dopo aver accettato di incontrare il capo degli “eterodossi” della prima Roma solo perché in servizio comandato dalle autorità politiche del Paese, rifiutò la proposta di recitare il “Padre Nostro” con Giovanni Paolo II e i cattolici presenti. Può anche darsi che nell'aeroporto internazionale di L’Avana abbia aleggiato anche l’ombra di Putin, delle “visioni” politiche di Fidel Castro e tante altre realtà strategiche. Ma è anche sicuro che fosse presente anche lo Spirito di colui che ha ammaestrato i discepoli di ogni tradizione dicendo: «Quando volete pregare, dite: Padre Nostro….».

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