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Ospedale dell’orrore, altre dieci donne erano pronte all’aborto

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Il paese sbuca fuori all’improvviso, dopo l’ennesima curva sulle colline ricoperte dagli ulivi, come fosse un presepe. Il castello aragonese del ’500, tredici chiese antiche una più bella dell’altra, un’atmosfera quasi fiabesca, sminuita solo dalle tristi luminarie delle feste spente e non ancora portate via. 

Ma questo non è il paese delle fate. La cattiveria e i malefici delle streghe si materializzano qualche curva più avanti, davanti al pronto soccorso dell’ospedale. «L’ospedale dell’orrore» lo chiamano adesso gli abitanti di Corigliano. È tra queste mura color verde acqua, infatti, che si è consumato il peggiore dei delitti. Quello di un neonato prematuro, ucciso per incassare 80 mila dell’assicurazione, dopo la simulazione di un incidente stradale. La madre, i complici e il medico che ha procurato l’aborto del bimbo di 7 mesi, sono stati arrestati.  

Rabbia e incredulità 

Non sono trascorsi neppure due anni dall’omicidio di Fabiana Luzzi, la quindicenne accoltellata e bruciata dal fidanzato, e già un nuovo dramma scuote quest’angolo del Cosentino. I protagonisti diabolici dell’infanticidio sono tutti lontani dalla sala d’attesa del Pronto soccorso, ma è come se fossero ancora qui. Rabbia, sgomento, incredulità, si leggono sui volti e nelle parole di chi aspetta il suo turno per essere visitato. C’è lo sdegno di chi fatica ad avere un figlio, come Fabiola che è qui per «delle perdite sospette: non sono ancora al terzo mese di gravidanza e pensare di perdere il bimbo che ho in grembo mi fa morire. Ma il pensiero di quella donna che ha ucciso suo figlio per mettersi i soldi in tasca mi fa morire ancora di più». 

C’è l’indignazione di chi lavora qui, come Filippo Fortunato, infermiere, segretario provinciale del sindacato Nursind, che non vuole veder associato l’ospedale «alla follia di quella madre e del medico. Noi siamo gente seria che lavora per fare del bene a chi soffre e ora si parla di noi solo per questa brutta storia». 

L’ombra delle ’ndrine 

Ma c’è anche la paura di chi non se la sente di commentare questa tragedia su cui grava l’ombra della ’ndrangheta. «È megghiu nun sapiri nenti». Nulla si vuole sapere di Pietro Andrea Zangaro, uno degli amici che nel maggio 2012 accompagnò in ospedale Stefania Russo (allora trentaquattrenne e già con un figlio) per abortire. Zangaro è parente del boss del clan Solimando, uno dei più potenti qui a Corigliano. E il legame delle ’ndrine è al vaglio di inquirenti e investigatori per l’intera gestione delle truffe ai danni delle assicurazioni e dell’Inps. Oltre all’infanticidio sono state commesse frodi per 2 milioni di euro (140 indagati). 

La questura di Cosenza, guidata da Luigi Liguori, e la Guardia di finanza, coordinati dal procuratore di Castrovillari Franco Giacomantonio, hanno indagato su altri 10 casi di potenziali infanticidi - sempre per incassare il premio assicurativo - che non si sono verificati perché già erano in corso gli interrogatori dell’inchiesta.  

Discussa è la figura del medico del pronto soccorso arrestato, Sergio Garasto.

Il «reuccio» 

Un reuccio che si dava arie da padrone, tanto più quando venne eletto consigliere comunale. Meno male che decadde perché nel 2011 il consiglio fu sciolto per mafia. Ma si dava comunque un sacco di arie. Diversamente la pensa chi lo definisce «un bravo dottore, sempre gentile e disponibile con tutti». 

Da tempo non lavora più qui, ma nella vicina Castrovillari. Ora però gli arresti di giovedì scorso hanno ulteriormente scompaginato l’ordine dell’ospedale. «Abbiamo avviato un’inchiesta interna - annuncia il direttore sanitario Pierluigi Carino - e martedì prossimo arriverà una commissione ispettiva dalla Regione. È giusto approfondire, ma la nostra struttura sanitaria è sana. I bambini noi li aiutiamo a nascere non a morire». Con 125 posti letto e una media di 120 passaggi al giorno al Pronto soccorso, l’ospedale di Corigliano vuole archiviare questo sconvolgente episodio. 

Ma non sarà facile. Non solo per quella vita spezzata, ma anche per il sospetto che sia stato tutto premeditato: prima la gravidanza, poi il falso incidente stradale e l’aborto. Se fosse avvenuto nei primi mesi di gestazione avrebbe fatto guadagnare 30 mila euro, al settimo mese 80 mila. Senza neppure uno scrupolo per quella vita mai sbocciata. (La Stampa)

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