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Modesta Valenti, la senza fissa dimora morta a 36 anni alla stazione Termini

Mario Scelzo Ansa - MICHELA SUGLIA
Pubblicato il 01-02-2019

Hanno tenuto in mano ognuno una gerbera colorata i tanti che hanno partecipato alla celebrazione commemorativa che si è tenuta il 31 gennaio alle 19 presso il binario 1 della Stazione Termini. Tutti stretti intorno a Modesta Valenti, la donna senza fissa dimora che 36 anni fa morì proprio alla stazione dopo ore di agonia, perché, essendo sporca ed avendo i pidocchi, l'ambulanza si rifiutò di caricarla per portarla in ospedale. Il giorno dopo, i giornali la definirono semplicemente «una barbona non identificata».



Nel corso della cerimonia, organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio, sono stati ricordati i 12 senzatetto morti di freddo a Roma durante l’inverno, ma allo stesso tempo l’iniziativa è stata una importante occasione per ricordare alle Istituzioni ed alle Associazioni che si occupano di accoglienza che l’inverno è ancora lungo e che bisogna fare di tutto per trovare soluzioni adeguate all’accoglienza (“emergenziale” nel breve, definitiva nel lungo periodo) dei senza fissa dimora.



LA SUA STORIA - Ripercorriamo, per i nostri lettori, la storia di Modesta Valenti e la corrente di solidarietà che la sua vicenda ha generato. Da quel poco che sappiamo (la notizia meritò appena un trafiletto nei quotidiani dell’epoca) Modesta, una 71enne originaria di Capodistria, si sentì male durante la notte del 31 Gennaio del 1983. Era una barbona e viveva per la strada, spesso cercava riparo alla stazione Termini, nodo centrale del traffico ferroviario della città, ma anche luogo dove le persone senza fissa dimora provano a fermarsi soprattutto quando le temperature nella città diventano proibitive.



IL FATTO - Sappiamo che qualcuno chiamò l'ambulanza che accorse dopo poco tempo. Al loro arrivo Modesta era ancora viva. Forse poteva essere salvata se gli infermieri si fossero occupati della povera donna. Ma non lo fecero. Modesta, proprio per le condizioni in cui viveva, era sporca, aveva i pidocchi, quindi gli infermieri decisero di non prenderla, di non toccarla. Morì poche ore dopo, tra tante sofferenze. Nessuno si preoccupò di prestarle soccorso.



LA TRAGICA MORTE - Non solo la tragica morte, ma anche l’assenza di una identità. La Comunità di Sant’Egidio, che la conosceva e che continua a coltivarne la memoria a distanza di 35 anni, all’epoca dovette combattere 11 mesi di “battaglia burocratica” per stabilire l’identità della “senza fissa dimora” e poterne successivamente celebrare un dignitoso funerale. La drammatica vicenda di Modesta spinse l’allora giovane Comunità di Sant’Egidio sia ad occuparsi stabilmente dei senza fissa dimora della Capitale portando loro pasti e coperte, sia a porsi il problema di dare una residenza ai senza fissa dimora.  



SENZA FISSA DIMORA
- Cosa vuol dire vivere “senza fissa dimora” e quindi non avere una residenza? Vuol dire non poter richiedere un medico di base, non poter ricevere la posta, vuol dire, per fare un esempio concreto ed attuale, non poter richiedere il Reddito di Cittadinanza, per ottenere il quale è necessario essere residenti da almeno 10 anni sul territorio italiano.



Nel 2002, grazie ad una felice collaborazione tra il Comune di Roma e la Comunità di Sant’Egidio, nacque una via fittizia con la quale i senzatetto potessero dichiararsi, nel tentativo e con lo scopo di reinserirsi socialmente. Leggiamo dal sito del Comune di Roma: “La posizione anagrafica di via Modesta Valenti consente il pieno godimento di alcuni diritti che la condizione di senza fissa dimora preclude: esercitare il diritto di voto, ottenere i documenti d’identità e le relative certificazioni, ottenere ogni tipo di contributo o prestazioni e accedere ai servizi. L’attivazione del servizio prevede da parte del soggetto l’accettazione di alcune norme di comportamento, tra cui il mantenimento di contatti periodici con il servizio sociale; il mancato contatto può determinare la perdita del servizio”.



Rispetto al tema della residenza fittizia, è in atto al momento una revisione da parte del Comune di Roma, sarebbe troppo lungo da sintetizzare su queste pagine, quello che è certo è che negli anni il nome di Modesta è diventato (citiamo un breve estratto della commemorazione dello scorso anno) “sempre più il simbolo della solitudine di tante persone che vivono per strada: nessuno deve essere dimenticato”.



IL RICORDO - La memoria di Modesta, e dei tanti, troppi senza fissa dimora morti in questi anni, troverà il suo culmine nella Liturgia che quest’anno si terrà domenica 3 Febbraio presso la Basilica di Santa Maria in Trastevere. Alla liturgia (momento di grande commozione, porto la mia testimonianza diretta di volontario che da anni è presente a Santa Maria) farà seguito un pranzo con oltre 300 senza fissa dimora, un felice e sereno momento di inclusione per chi è abituato a vivere nell’ombra. Pranzare insieme, sedersi a tavola con chi è meno fortunato, è spesso il primo passo per restituire dignità e speranza a chi spesso l’ha smarrita. Se c’è un miracolo che avviene nei nostri pranzi, è proprio quello di restituire una identità: quello che per la società è un “senza fissa dimora” diviene per i volontari un amico, una persona con un nome, una storia, un percorso di vita, magari complicato, e conoscere la storia di una persona è il primo passo per aiutarla.

Modesta ci ha lasciato, ma la sua memoria è viva.


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