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Mirkoeilcane: seguo le orme e lo stile dei cantautori italiani per smuovere le coscienze

Domenico Marcella Ansa - ETTORE FERRARI
Pubblicato il 16-02-2018

Intervista al cantante rivelazione di Sanremo 2018

Il ragazzo in questione fa del sarcasmo un’importante ragione di vita perché anche per lui, alla maniera dell’indimenticabile Albertone Sordi, «Quando si scherza, bisogna essere seri». Mirkoeilcane, al secolo Mirko Mancini, romano, classe 1986, dopo essersi piazzato al secondo posto nella categoria “Nuove Proposte” del Festival di Sanremo – portandosi a casa anche il prestigioso Premio della Critica “Mia Martini” – è a furor di popolo considerato uno dei cantautori più promettenti della musica italiana. Lo era già prima, a dire il vero, perché Mirko vanta in maniera piuttosto umile un passato costellato da riconoscimenti e partecipazioni eccellenti. Il clamoroso boato però in Italia avviene quando decidi di uscire dal sottobosco per tuffarti nel cosiddetto oceano nazional-popolare, e diventare un prodotto di suffragio universale.

Mirkoeilcane ha spiazzato tutti con il brano “Stiamo Tutti Bene”, un vortice sonoro che è riuscito a conquistare perfino il Premio “Sergio Bardotti” per il miglior testo. Nonostante sia divenuto trend-topic (argomento più di tendenza su Twitter), nei giorni della rassegna canora, Mirko non si è fatto tentare dalla famelica smania che prende quando una fetta di Paese digita qualcosa che riguarda te. «Lo confesso, qualche amico mi ha mandato degli screenshot. Ho letto tutto col sorriso. Trovarsi davanti alle opinioni di persone che non conosci può ferire ma anche divertire».




Mirko, sei stato la rivelazione del Festival di Sanremo.

«Sì, forse avrei voluto vincere, ma non mi dispiace sia andata così. Quando ho iniziato, con la chitarra e il quadernino pieno di canzoni scritte, non avrei mai potuto immaginare che un giorno sarei arrivato sul palco del mitico Teatro Ariston e, soprattutto, di diventare argomento delle più disparate discussioni, sui social ma anche fuori. Ma tutto fa gioco, come si dice in gergo».



Ti sei presentato al Festival con un bagaglio pieno di riconoscimenti. Cosa insegna la gavetta?

«La gavetta è un’esperienza necessaria. Oggi si parla sempre più spesso del successo immediato che riserva un passaggio da un talent-show. Ecco, credo che questi format siano una grandissima illusione oltre che un grande rovescio della medaglia. I talent possono creare un’aspettativa incredibile, senza neppure riuscire a forgiarti e a prepararti ad affrontare la risoluzione dei problemi che possono sopraggiungere all’ultimo minuto, prima di un live, come la mancanza di un cavo o il malfunzionamento di una cassa. La gavetta serve, e poi è come una bellissima storia da raccontare».



A proposito di storie. Hai veicolato attraverso una canzone un messaggio importante, quello di un bambino, Mario, che a sette anni è protagonista di una tortuosa traversata in mare.

«Mi sono preso la briga e l’onere di affrontare con la musica un tema sul quale molti altri colleghi preferiscono non esporsi. Seguo le orme e lo stile dei cantautori italiani, e credo sia giusto assumersi la responsabilità di toccare un argomento di scottante attualità con la volontà di generare riflessioni e anche qualche piccola divisione di opinioni. Ero ben cosciente che “Stiamo Tutti Bene” non sarebbe stata apprezzata da tutti, un po’ per il tema e un po’ per la modalità con cui ho scelto di presentarla al grande pubblico; ma ho voluto rimettermi in gioco, e posso dire che è molto piaciuta».



Il brano è stato accolto anche con il solito cinismo sprezzante che rischia di diventare una disciplina olimpionica.

«Commentare Sanremo sui social network è ormai uno sport nazionale. Può essere divertente, certo, e credo che davanti a un tema come quello che ho cantato sia molto più semplice “reagire” con un’eccessiva leggerezza. Non voglio giustificare le cattiverie, anche se può far male leggerle, ma bisogna metterle in conto».



Anche il monologo di Pierfranceso Favino sulla condizione degli immigrati ha ricevuto critiche ingenerose, e non solo dal cosiddetto popolo della Rete.

«Non credo che un personaggio come Favino possa risentire di quei giudizi un po’ troppo banali. Quel monologo mi ha spezzato il cuore per la sua potenza indescrivibile. Penso vada al di là di tutto, anche dell’ideologa politica, perché è stato messo in atto con forza e talento. Va apprezzato a prescindere».



Ci vorrebbe più coraggio nella musica? Tu sei stato coraggioso a portare al Festival un brano che ha rischiato di essere tacciato di populismo.

«Ci vorrebbe soltanto coraggio perché siamo bombardati da canzoncine che parlano di spiagge, cuore e amore. La musica a cui io sono legato si occupa di tutt’altro. Cito su tutti Francesco De Gregori e Lucio Dalla, artisti che hanno avuto il coraggio di smuovere gli animi. A oggi è come se la musica venga adoperata soltanto per accompagnare lo shopping nei centri commerciali. Se si parla di canzoni ci deve essere dentro un messaggio importante e un testo ben scritto».



Nel tuo secondo album “Secondo Me”, uscito a cavallo del Festival di Sanremo, ci sono brani che trasudano leggerezza, sarcasmo, ironia. Le tematiche sono varie, e si adattano a tutto: dallo stile cantautorale, al riverbero rock fino a un gran bel omaggio alla tradizione popolare romana.

«La mia è una ricerca. Cerco sempre di trasmettere qualcosa di bello e profondo proprio attraverso le canzoni. Quando le compongo, volo con l’immaginazione nella mia realtà preferita che è quella del live. Penso a chi verrà ad ascoltarmi e a chi acquisterà l’album, al loro desiderio di ricevere qualcosa da quell’ascolto. Non potrei mai fare canzoni piene di cose in cui non credo per il gusto di diventare popolare. Mi piace che la mia musica sia uguale a quella degli artisti che vado a vedere in concerto, in cui c’è sempre un messaggio e un racconto. Credo e spero che questa sia anche la sensazione di chi ascolta i miei brani».



Fare un album oggi vuol dire lasciare un documento ai posteri o è soltanto una sfida?

«Un album è una specie di coronamento di percorso, come una fotografia scattata per raccontare una fase esistenziale. Credo sia ancora necessario fare album perché al di là della scarsa utilità commerciale – anche perché non si vendono più milioni di copie – è un gesto di riconoscenza verso il pubblico. Non tralascio mai questo aspetto perché sono molto legato alle persone che mi seguono. Fare un album è dimostrare di esserci, e questo per me ha un valore incredibile. All’indomani dell’uscita di “Secondo Me”, ho ricevuto messaggi da persone che non avevano mai acquistato un disco prima del mio. Partendo da quel gesto semplice, hanno compreso la bellezza del possedere uno. Ecco, questa cosa mi ha reso orgoglioso perché la musica è quell’energia vitale che può anche risollevare le sorti di una giornata storta. Ma non solo. La musica ha tanti altri poteri».



Oltre alla musica, cos’altro può smuovere le coscienze?

«L’arte in generale ha sempre smosso le coscienze delle persone. La musica è indubbiamente la forma d’arte di più facile diffusione. Un avvicinamento all’arte è terapeutico, alleggerirebbe tante tensioni, soprattutto oggi, in questa fase di astio e rabbia collettiva. Poi ci sono i simboli, e qui mi riallaccio al tema di “Stiamo Tutti Bene”. La “Nave della Speranza” giunta a Lampedusa dal Mediterraneo, ormeggiata davanti alla basilica superiore di San Francesco ad Assisi, ci fa comprendere meglio e toccare con mano il senso di disperazione e le difficoltà che affrontano i migranti alla ricerca di una vita migliore».



Tornerai a esibirti nei locali in cui hai mosso i primissimi passi o sceglierai soltanto le arene affollatissime.

«Vorrei che il mio progetto prendesse una forma sempre più grande, non lo nascondo. Mi piacerebbe soprattutto suonare in un’arena piena di tutte quelle persone che in questi anni mi hanno seguito con grande affetto. Ma non smetterò mai di prendere la chitarra e andare a esibirmi nei miei locali preferiti».



Bene, abbiamo capito che si può sopravvivere a un secondo posto a Sanremo e restare umili.

«Certo, soprattutto se quella posizione è accompagnata dal Premio della Critica e dal riconoscimento per il miglior testo. Per essere una nuova proposta posso ritenermi soddisfatto. Ma senza alcuna presunzione, sia chiaro».


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