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Milano, ecco perché Papa Francesco inizia dalla periferia

Redazione online Ansa - CLAUDIO PERI
Pubblicato il 23-03-2017

La visita di Francesco comincia dalle Case Bianche di via Salomone

«La realtà si vede meglio dalla periferia che dal centro», aveva detto Francesco in un’intervista rilasciata a un bollettino parrocchiale di Villa la Càrcova, baraccopoli alla periferia di Buenos Aires: «Normalmente noi ci muoviamo in spazi che in un modo o nell’altro controlliamo. Questo è il centro. Nella misura in cui usciamo dal centro e ci allontaniamo da esso, scopriamo più cose». Che vi sia questa consapevolezza dietro molte scelte del Papa lo si comprende guardando le mete dei suoi viaggi e i programmi delle sue trasferte. Comprese quelle italiane, iniziate a sorpresa nel luglio 2013 con il viaggio-lampo a sorpresa a Lampedusa.

Allo stesso modo va vista la scelta del Pontefice di entrare a Milano varcando la soglia di tre alloggi popolari di un quartiere periferico con disagi sociali, entrando in casa di tre famiglie che vivono il problema della malattia o della mancanza di lavoro. Un modo per manifestare la sua concreta vicinanza a chi è scartato e spesso al fuori dall'attenzione delle istituzioni. La scelta di Francesco di includere sempre nei suoi viaggi incontri con i carcerati e visite nei quartieri più poveri, non nasce dunque da strategie di marketing, ma dall'urgenza evangelica di «toccare la carne di Cristo» nell'umanità ferita.

Le periferie hanno un significato decisivo nella Bibbia. La stessa terra d'Israele è una grande periferia in quell'aerea geografica, quasi sempre dominata da altri. Gli ebrei sono alla periferia dei grandi sistemi politici, un popolo lontano dal centro del potere di allora, rappresentato dalla Roma imperiale. La stessa Galilea era a sua volta una periferia di Israele ai tempi di Gesù, oltre che un crocevia di diverse componenti etniche. È quella periferia che nei Vangeli diventa un centro per la predicazione del Nazareno: è lì che si apre la sua vita pubblica. Gesù la percorre come un profeta itinerante senza fissa dimora, facendosi vicino alle persone che la abitano, delle quali conosce la fragilità, commuovendosi nel vederle «come pecore senza pastore». Ed è ancora lì che, dopo la resurrezione, Gesù precede i suoi. Il Vangelo parte dunque dalla periferia per abbracciare Israele e il mondo.

In realtà Gesù stesso si identifica con i «periferici», come ricorda Andrea Riccardi nel suo ultimo libro Periferie. Crisi e novità per la Chiesa (Jaka Book): «Ho avuto fame, sete, ero forestiero, nudo, malato, carcerato...»; «ogni volta che avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me». I poveri sono i periferici della vita e Gesù si identifica con loro, come mai in nessun altro uomo o donna. «È un fatto straordinario nei Vangeli - osserva Riccardi - che fonda il legame permanente tra i cristiani e i periferici».

Nell'omelia della messa dell'Epifania, il 6 gennaio 2017, Francesco parlando dei Magi ha ricordato come essi fossero arrivati al palazzo di Erode in cerca del nuovo re da adorare. «E fu proprio lì - ha detto Bergoglio - dove incominciò il cammino più lungo che dovettero fare quegli uomini venuti da lontano. Lì cominciò l’audacia più difficile e complicata. Scoprire che ciò che cercavano non era nel Palazzo ma si trovava in un altro luogo, non solo geografico ma esistenziale». Hanno scoperto che Dio «ha voluto nascere là dove non lo aspettavamo, dove forse non lo vogliamo. O dove tante volte lo neghiamo. Scoprire che nello sguardo di Dio c’è posto per i feriti, gli affaticati, i maltrattati, gli abbandonati: che la sua forza e il suo potere si chiama misericordia».

Francesco aveva aggiunto: «Il credente “nostalgioso”, spinto dalla sua fede, va in cerca di Dio, come i magi, nei luoghi più reconditi della storia, perché sa in cuor suo che là lo aspetta il Signore. Va in periferia, in frontiera, nei luoghi non evangelizzati, per potersi incontrare col suo Signore; e non lo fa affatto con un atteggiamento di superiorità, lo fa come un mendicante che non può ignorare gli occhi di colui per il quale la Buona Notizia è ancora un terreno da esplorare».

San Giovanni Crisostomo, Padre della Chiesa, commentava così il brano evangelico dei Magi: «Se essi hanno fatto un viaggio così grande per vedere il Bambino, quale giustificazione avrai tu che non vai nemmeno in un vicolo per visitarlo, quando è malato e incarcerato?».

Dunque, spiega Papa Francesco, si va verso i poveri, si va nelle periferie, non tanto per portare qualcosa, ma per cercare e scoprire il volto di Dio, toccando la sua carne. Si esce e si va nelle periferie per incontrare Gesù, scoprirlo nel volto di chi è nel bisogno. Papa Bergoglio con la sua testimonianza personale indica ai cristiani l'esigenza di uscire verso le periferie geografiche ed esistenziali - che siano il Centrafrica dimenticato o il vicino di pianerottolo solo e in difficoltà - per incontrare lì il volto di Cristo e toccare la sua carne. Cioè per farsi evangelizzare e per lasciarsi «ferire» dalla realtà, guardandola da una prospettiva diversa. Per piangere con chi piange e gioire con chi gioisce, come si legge nella costituzione conciliare Gaudium et spes, mostrando il volto misericordioso di Dio e la sua tenerezza. (Andrea Tornielli - Vatican Insider)

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