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Litigare spesso e violentemente è l’apripista ad una società dell’odio

Antonio Francese - Psicologo Pixabay
Pubblicato il 15-01-2019

L’intervento del papa ha richiamato in modo forte un messaggio di sostanza più che di forma: non è in discussione il conflitto in sé, meccanismo propedeutico ad un cambiamento che genera vita, quanto la modalità di manifestare questa differenza di vedute.

Litigare davanti ai propri figli, aggredirsi, svalutarsi con parole e gesti può suscitare una rottura nell’animo dei piccoli che detengono il diritto all’idealizzazione della propria coppia genitoriale, in una fase della vita in cui “il sogno” deve e può avere predominanza.

Le urla diventano rumore assordante anche nella sua assenza, le mani alzate ombra tetra nell’intangibile pensiero, il litigio attivatore tachicardico di ansia generalizzata.

La violenza genera paura e quindi un remissivo e progressivo ritiro dalle relazioni significative, ma anche, nella strutturazione della propria personalità, modalità comportamentali simili che potranno essere ripetute. Ogni sguardo accigliato, ogni movimento inconsulto e provocatorio, possono sviluppare nel bambino angoscia e rabbia che, giocoforza, restituirà agli stessi o nelle altre occasioni in cui si sperimenta come persona.

I genitori hanno la responsabilità e la gioia di poter contribuire a creare la visione del mondo che circonda i bambini di cui sono custodi. È un onere intra ed interfamiliare, oserei dire sociale: litigare spesso e violentemente è l’apripista ad una società dell’odio di cui i nostri bambini non sono solo vittime, ma stanchi protagonisti di una sceneggiatura ricca di tratti di isolamento e dipendenza.

Determinare una conflittualità sana nelle nostre famiglie significa spalancare il cuore di ogni bambino alla speranza che ciò che ci differenzia è stimolo di crescita e mai tensione verso intransigenti separazioni. (Antonio Francese - Psicologo)

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