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LA STORIA CONTINUA: IL RIARMO INSIDIA LA PACE

Giuseppe Scanni Ansa - YAHYA ARHAB
Pubblicato il 13-06-2017

La pericolosa crisi all’interno dell’Islam dimostra che non è la religione la causa delle guerre e del terrorismo, ma il mal di vivere, la paura della modernità

E’ troppo presto per affermare che l’onda populista abbia iniziato il suo riflusso. Il mondo intero si è molto allarmato a causa della Brexit, per la vittoria di Trump, il declino senza misura della popolarità del presidente Hollande e delle leadership del centro destra francese accompagnate, in Francia, da sondaggi molto favorevoli per la rappresentante dell’inquietante Front National; senza contare la preoccupazione per i movimenti di estrema destra tedeschi; le porte chiuse ed i duri proclami del presidente ungherese ed il neo isolazionismo austriaco; in Italia le rodomontiche affermazioni di Grillo, che appariva inarrestabilmente in ascesa, perdono il vigore della protesta. Restano tuttavia gravi segnali di un persistente disordine e squilibrio, nonostante la sconfitta del candidato dell’ultra destra per l’elezione in Austria del Presidente della Repubblica; il risultato delle elezioni politiche in Gran Bretagna e Francia e quelle (parziali) in Germania ed Italia; la ribellione degli Stati e delle grandi metropoli statunitensi a Trump ed alla sua politica sul clima, la difesa dei diritti esercitata dalle Corti Federali se Statali statunitensi, le inchieste del Senato hanno aperto qualche spiraglio al quale aggrapparsi, per perseguire una politica di pace e di stabilità.


L’Ordine contiene sempre un amalgama di equilibrio, moderazione, forza e legittimità. Ogni elemento squilibrante accentua le difficoltà; la mancata individuazione delle aree di crisi, la loro sottovalutazione, porta ad una politica di confronto non sempre isolabile in aree regionali. Così eccitati appelli al sovranismo degli Stati, isolazionismi, ritorno a politiche di dazi appoggiate da dimostrazioni di forza muscolare, chiusure per principio delle frontiere a poveri e rifugiati, massicce e non controllate vendite di armi, rigetto delle decisioni assunte da ed in organismi multilaterali, hanno contribuito a creare, soprattutto a partire dalla crisi economica del 2007-2008, gravi e dolorose fratture nella convivenza pacifica dei popoli. L’aggressività qualificata come populismo, un genere di protesta trasversale alle destre e alle sinistre, sembra sia pian piano riassorbita dagli elettorati che cominciano a far mancare il loro appoggio ai tanti capipopolo; ciò però non esclude la necessità di profondere attenzione ed impegno per impedire che gli attuali presupposti di sgretolamento degli equilibri si realizzino, provocando disastri oggi difficilmente immaginabili.



In Europa la politica di difesa dei diritti umani e politici di popolazioni e di stati che per decenni avevano partecipato, obtorto collo, alla politica di potenza allora sovietica oggi russa, ha sostanzialmente offerto alla Russia la possibilità di reagire con nuove minacce nucleari. La Russia ha letto, con gli occhiali di Putin,nelle azioni (e nei comportamenti) del presidente Trump che si sono allentati i criteri di solidarietà atlantica ed ha individuato differenti valutazioni strategiche tra l’Europa e gli USA. D’altronde in un’epoca di comunicazione immediata , l’immagine testimonia realtà probabilmente inesistenti. Per esempio, noi europei abbiamo interpretato come una eccessiva malagrazia lo spintonamento ricevuto dal presidente del Montenegro a Taormina dall’esuberante Trump che intendeva conquistare un miglior posto nella foto opportunity. Altri, forse, hanno interpretato lo “scansati moscerino” di Trump come una chiara indicazione che seppure il Montenegro sia appena entrato nella NATO, l’impegno alla difesa collettiva ed all’articolo 5 del Trattato non deve essere considerato, nei confronti del piccolo stato adriatico, automatico, immediato.



Ed ecco allora che Putin, così come Trump col Trattato sul clima, non ha esitato a rinnegare il Trattato del 1987 sulle forze nucleari intermedie (Inf) ed ha schierato a Kaliningrad, una enclave russa tra Polonia e Lituania, S400, Iskander e Topom, missili in grado di colpire Berlino, Stoccolma e Copenaghen.

Il messaggio di Putin è chiaro : nel nuovo pianeta che sarà governato da blocchi regionali la deterrenza nucleare deve avere un suo posto e Mosca, rilanciandone la dottrina che fu il cardine dell’allora equilibrio nella Guerra Fredda, rivendica il suo ruolo decisionale; la Russia non può essere considerata alla stregua della Corea del nord o dell’Iran; politiche economiche aggressive ( blocco esportazioni ed importazioni) o approntamento di sistemi di difesa convenzionali non graditi ( il rafforzamento con 4500 uomini del fronte Est dell’Alleanza) devono trovare per il Cremlino immediate e sproporzionate risposte.


Un altro segnale da non sottovalutare giunge dal riacutizzarsi dello scontro interno all’Islam.

Dopo aver rafforzato con la vendita di 110 miliardi di dollari di armi l’Arabia Saudita, confermando con il summit di cinquanta e passa paesi arabi a Riad la supremazia non soltanto religiosa ma anche politica della monarchia saudita, Trump ha facilitato il nuovo scontro nell’Islam.


Aver equiparato la lotta al Califfato a quella contro l’Iran ha aperto una voragine dalla quale sarà difficile uscire indenni. Il Qatar ha finanziato come e quanto altri paesi arabi sunniti il terrorismo, soprattutto i Fratelli Musulmani in Egitto; ha avuto il grande torto di immaginare un suo futuro indipendentemente da quello saudita; oggi, e sembra una commedia, è difeso militarmente dal despota Erdogan, che appoggia i fratelli Musulmani, ed è assistito per le sue esigenze alimentari dall’Iran,  che è un bersaglio del terrorismo del Califfato. Sembra molto il gioco degli specchi : non sempre ciò che è riflesso è vero. Gli Stati Uniti non hanno operato una scelta tra una monarchia assoluta e retrograda come quella dei Saud ed una repubblica islamica che è uscita dal khomeinismo ed ha consolidato un sistema elettorale degno della massima attenzione; hanno semplicemente optato per la continuità di interessi economici conosciuti e ben rodati e per impedire che l’Iran si sviluppi coinvolgendo gruppi industriali e finanziari occidentali ma non statunitensi. Oggi, ironia della sorte, sono gli aerei iraniani che portano viveri a Doha, nello stesso modo con il quale gli americani rifornivano i berlinesi assediati dalle milizie della Germania Democratica e dell’URSS. Le lodevoli iniziative dell’emiro del Kuwait e del Re del Marocco per mediare la guerra intestina agli alleati del Golfo hanno, al momento, piccoli spazi di riuscita, ma fanno luce sulla complessità dei rapporti interarabi e sulla crescente mancanza di leadership degli Stati Uniti, troppo presi da interessi immediati per valutare il peso delle loro azioni in un teatro tradizionalmente fragile.



I concetti di interpretazione territoriale della civiltà sottintendono l’idea che, in un area chiusa, un sistema culturale-religioso miri ad espandersi con specifici piani ai danni di vicini-avversari. Questa idea appare non adeguata nell’era che viviamo, non perché sia inutile o fallace il concetto di area culturale –religiosa, ma perché il mondo intero è divenuto un confine. Lo dimostra il movimento anti sciitaed anti Qatarsaudita per reazione alla concorrenza fondamentalista dell’islamismo politico dei Fratelli musulmani, del Wahabismo. Si rende così chiaro come solo una  perversione può attribuire complicità alla religione , se non addirittura indicarla come cattiva maestra della lotta armata e del terrorismo; invece guerre , sangue, terrorismo non sono frutto, in questo secolo, della religione, piuttosto lo è il mal di vivere e il comprendere gli interessi sociali, economici e di potere di un mondo che fa fatica a partecipare alla modernità. 

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