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La Storia attraverso il giornalismo e come è cambiata l’Informazione

Antonio Tarallo Pixabay
Pubblicato il 24-01-2019

“L’ITALIA DICHIARA GUERRA ALL’AUSTRIA. La consegna del passaporto all’Ambasciatore di Francesco Giuseppe e il richiamo del nostro Ambasciatore a Vienna”. Questo, uno dei titoli più famosi, più importanti (per naturale valore storico) del XX secolo. Era il quotidiano torinese – uno dei primi nella storia del giornalismo – “La stampa”, a scrivere così, in belle lettere cubitali, uno degli avvenimenti più significativi della “recente” Storia. Era scoppiata la Prima Guerra mondiale, la famigerata “Grande guerra”. 24 maggio 1918, cento e uno anni fa. Le notizie, all’epoca, viaggiavano solamente attraverso la stampa, fogli con lettere – appunto – “stampate”.

E se il sistema-Informazione era chiamato “stampa” (a prescindere, naturalmente, dal nome della testata citata) era proprio per via di quelle lettere “stampate” in nero che campeggiavano sopra grandi fogli, sottili per la leggerezza del trasporto. Si doveva viaggiare veloci, al tempo. E per farlo, più lo “strumento” era leggero, meglio si poteva “cavalcare la notizia”, così si suole dire in gergo giornalistico. E stiamo parlando di una notizia che avrebbe cambiato le sorti di molti Paesi, di molti uomini.



Certo, di avvenimenti fondamentali – alcuni in una maniera, altri, in altra – la nostra Epoca ne ha vissuti tanti. E altrettanto tanti sono stati i cronisti a raccontarli, a commentarli, a renderli pubblici attraverso un articolo o, un “pezzo”, come si chiama sempre in gergo giornalistico. Elencarli sarebbe impresa così ardua che si correrebbe il rischio, sicuramente, di tralasciarne non pochi. Il secolo XX si apriva con una guerra, commentata dai giornali d’epoca che costituivano il tessuto della opinione pubblica. I giornali, quando non si poteva comprarli, si trovavano per la maggior parte nei “caffè”, che potremmo ben definire una sorta di “piattaforma social” ante-litteram.

I commenti, gli scambi di opinione, le liti furibonde di questo o quel “clan” a favore o contro, avvenivano tutti nei “caffè”, colmi o di gente “semplice”, o di qualche “vero” (l’aggettivo è d’obbligo, visto i tempi) intellettuale. Bisogna tener presente che, almeno fino agli anni ’50 – e parliamo solo per il nostro Paese – il popolo, o meglio “la gente”, aveva accesso all’Informazione attraverso, maggiormente, i quotidiani.



Poi venne la “televisione”, la scatola magica dal tubo catodico, a sfornare notizie su notizie. Incominciarono “le dirette”: dallo sbarco sulla luna, alle elezioni dei pontefici. Le fumate nere, o bianche, nella televisione in bianco e nero, facevano il loro effetto. Ma ancor più d’effetto, in merito sempre alla elezione del successore di Pietro, fu sicuramente la voce di Paolo Frajese – in questo caso la televisione era a colori – che, alla fumata bianca sulla piazza michelangiolesca, esclamò, nella diretta del tg1 del 1978, con voce commossa, ma precisa: “Continua a uscire il fumo nettamente bianco”. Era stata data la notizia: l’elezione di un pontefice “non italiano”, dopo quattro secoli.  “Un pontefice non italiano”, questa era stata l’espressione usata da Bruno Vespa, poco dopo il nome annunciato del cardinale Wojtyla, non più cardinale, bensì papa.

Un pontefice che segnò profondamente la Comunicazione Vaticana, portando l’Informazione della Santa Sede, fuori dagli schemi, fuori dal “si è sempre fatto così”. Il resto, è storia nota. Fino a giungere ad una comunicazione diretta, senza veli alcuni, che addirittura arriverà a parlare della salute stessa del pontefice, senza nascondere nulla. La comunicazione, sia nei giornali, che nelle televisioni, evidenziava un dato molto semplice che però mai era stato sottolineato: il Papa è prima di tutto un uomo. E come ogni uomo può avere i propri momenti di debolezza fisica, di dolore, di confronto con la malattia, fino alla morte. Questo, bisogna dirlo, è stata una vera e propria rivoluzione della Comunicazione Vaticana, che forse, molte volte è passata inosservata.



E, poi, venne “internet”. La velocità della notizia, la parola d’ordine. Il giornalismo, nel 1992, comincia a passare per il web. Cambia tutto. Cambiano le parole, cambiano gli stessi quotidiani, che trovano nella rete, lo sviluppo e il potenziamento di quello che era solamente il quotidiano cartaceo. La “macchina infernale”, per dirla alla Cocteau, comincia a camminare su un immaginario tappeto di notizie su notizie. Informazioni su informazioni. La Storia comincia a essere scritta su “fili” di computer, un pentagramma di avvenimenti.

Le storie non si trovano più solamente alla tv, o sui quotidiani cartacei, ma sui siti web delle testate giornalistiche. E c’è un evento cardine in tutta questa trasformazione. Se la Storia si divide in A.C e D.C, la storia del giornalismo in rete, si può dividere in “prima” e “dopo” la fatidica data dell’11 settembre 2001. L’attentato delle Torri Gemelle. Milioni di persone, nel mondo, non solo trovano nelle dirette televisive il “cordone ombelicale” per la loro “sete” di notizie, ma cominciano a “navigare” su internet, alla ricerca dell’ultima notizia, dell’ultimo video. Un accaduto del genere, non poteva essere approfondito col quotidiano del giorno dopo. Le informazioni, da quel giorno in poi, non furono più le stesse. Un po’ come il Mondo stesso.



E Oggi? Nel 2019. Da tempo, assistiamo ad altra tipologia di comunicazione. E’ un dato che tutti abbiamo sotto le mani. Sono i social, sono i vari “canali” a diffondere – a ritmo davvero sfrenato – notizie che – proprio per il loro carattere veloce e “poco attendibile” – si scoprono poi essere “fake”, false. Questo è il panorama che si sta diramando sempre più, con tutti i problemi etici che questo comporta.

Non è sempre così, è necessario dirlo. Ma per la maggior parte dei casi – e ogni giorno ne abbiamo le prove – l’attendibilità o meno di una notizia non è più oggetto d’interesse vero e proprio. Basta ormai avere con sé un cellulare, e si diventa “giornalisti” d’assalto o addirittura opinionisti. Poco interessa se dietro a questa “maschera” vi è solamente l’idea di apparire, invece di essere “al servizio” della notizia. Questi sono i dati reali che il web-journalism – nato, in principio, come “ala professionale” dei maggiori quotidiani mondiali – ci sta propinando. Forse, mai come Oggi, le parole dello scrittore (e ricordiamo, giornalista) George Orwell, potrebbero assurgere a un nuovo manifesto dell’Informazione dei giorni d’oggi: “Nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario”.


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