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La sostenibilità è negli occhi di chi la guarda

Mirta Barbeschi
Pubblicato il 14-11-2018

Non si studia, è un modo di interpretare l’impresa in armonia con circostanze ed ambiti di attività

La sostenibilità è una meravigliosa strategia per competere e ripartire dopo una crisi che ha messo in dubbio tanti, quasi tutti, gli asset su cui si è basato il business, che ha fatto vacillare non solo mercato e lavoro ma anche etica e fiducia.

Essere trasparenti oggi è sempre più sinonimo di competitività. Operare entro parametri etici e rispettosi significa anche poter contare su una redditività solida e soprattutto proiettata nel lungo termine, cosa meno probabile se si ragiona in termini di massimo rendimento esaurendo il pianeta o abusando dei contesti sociali.

Un ruolo che non può essere confinato tra i muri della fabbrica, ma che deve viaggiare assieme a prodotti o servizi commercializzati. Il perseguimento, senza paura, della rettitudine, che è la base per un’economia della credibilità.

Paradossalmente è molto più semplice capire dove la sostenibilità non c’è. Non esiste azienda che abbia agito irresponsabilmente senza saperlo. Il processo di ‘conversione’, almeno dal punto di vista di consapevolezza, è quindi abbastanza semplice. Altra cosa è l’applicazione corretta all’interno dei processi senza cadere nelle tentazione di usarla come foglia di fico o di svicolare puntando tutto sulla filantropia. Fare cose meritevoli non significa affatto essere sostenibili.

Vorrei a questo punto citare tre esempi che, nei loro ambiti, ritengo assolutamente centrati. Tonno Asdomar, legato ad una materia prima terribilmente sensibile, dove la parola sintetico non si applica. Dove il consumo scellerato significa estinzione e la chiusura della fabbrica. Il Gruppo, unico oggi ad avere bollino verde Green Peace, pesca da anni solamente a canna, evitando le stragi dei palamiti e la pesca di baby esemplari. Una virtù che coincide con necessità.

BNL Banca del gruppo ParisBas dichiara, nel 2016, che finanziare aziende non responsabili è un rischio determinato da rapida obsolescenza d’impresa sommato ad alto fattore di insolvenza e dispone uno stop totale ai finanziamenti di centrali a carbone favorendo agricoltura sostenibile e fonti rinnovabili.

In ultimo la Gioielleria Belloni di Milano che nel 2004 ha puntato tutto su diamanti ed oro etici, ossia da fonte certa e rispettosa dei diritti umani e dell’ambiente, ovviamente fuori dalle logiche delle grandi compagnie diamantifere. Un piccolo negozio che oggi ha un perimetro di mercato inaspettatamente ampio e nazionale in cui spicca la forte – e lasciatemi dire simbolicamente splendida – richiesta di ‘fedi etiche’ da tutta Italia.

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