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La pace ancora lontana di Raffaele Crocco

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Uno si trova lì, sul giornale, la notizia e pensa: davvero? Così tanti? Ben 11 paesi al mondo, questo si dice, sono esenti dalla guerra, non ne hanno nulla a che fare? Avrei detto di meno.

Non prendetelo come un gioco, perché c’è poco da ridere quando si parla di guerra.  11 su 193, quanti sono gli Stati che siedono all'ONU, sarebbero fuori da ogni scontro armato in atto sul Pianeta. La fonte è  autorevole, si tratta dell'Istituto per l'Economia e la Pace.

In realtà, sfogliando le notizie dagli esteri degli ultimi mesi, viene la quasi certezza che siano troppi 11 Stati. Perché? Proviamo a spiegarlo. Prima di tutto, vediamo la lista di questa specie di “squadra” della Pace: a formarla sono Svizzera, Uruguay, Costa Rica, Qatar, Cile, Botswana, Brasile, Vietnam, Giappone, Mauritius e Panama.

Il rapporto dell'Istituto tiene conto del coinvolgimento diretto o indiretto in guerre che abbiano causato più di 25 morti. Inevitabile, allora, che leggendo i nomi degli undici qualche ragionevole dubbio venga. Ad esempio: la Svizzera. Davvero difficile pensarla “esente da guerre”, sapendo che dalle sue banche, sui conti correnti più o meno segreti, transitano i denari necessari ad acquistare armi e forniture varie.

Oppure, il Brasile: fa parte del Brics, l’organizzazione che con Cina, India, Russia e Sud Africa sta colonizzando intere regioni del mondo con gli stessi metodi del vecchio G8 dei Paesi industrializzati. Insomma, politiche aggressive, spesso utili ad alimentare guerre fra bande. Inoltre, Brasilia ha acquistato sommergibili nucleari appena ha saputo che davanti alle sue coste si celano infiniti giacimenti petroliferi. Il primo sarà varato nel 2023.

Ma la chicca vera, in questa lista, è il Qatar. Viene indicato dalle intelligence di tutto il mondo come il principale fomentatore delle rivolte che dal 2011 hanno scosso il mondo islamico. Ora, è accusato di essere il vero finanziatore dell’Isis, il califfato integralista e sanguinario sorto a cavallo fra Siria e Iraq.

Abbiamo già ristretto la cerchia, come vedete. Indagassimo con maggiore attenzione, ci ritroveremmo probabilmente con un foglio quasi bianco.

Provate a pensarci: per i sistemi industriali e finanziari dei paesi del mondo, non importa se poveri o ricchi, è davvero difficile star fuori dalla guerra. Banalmente, ci sono fabbriche d'armi, ma anche aziende che producono sistemi di puntamento, tecnologia. Ancora: governi e multinazionali - spesso assieme, altre volte facendosi la guerra - estraggono e vendono petrolio, gas, uranio, ferro, metalli. Poi, ci sono imprese che trasformano alimenti, fabbricano automezzi, elaborano medicinali, creano software. Tutto rientra nel grande mondo delle forniture militari o militarizzate, utili a gestire una guerra, a creare ricchezza grazie ad una guerra. Fabbriche insospettabili sono nella partita: basta produrre un tondino di ferro per entrare nel grande gioco.

Questa è solo una parte del contesto. Poi, ci sono gli atteggiamenti dei governi, le posizioni che assumono - o le decisioni che prendono - per affrontare crisi politiche ed economiche, proteste, sommosse.

Partendo dall'Italia, da casa nostra. Da circa 20 anni, ogni giorno abbiamo mediamente 7mila uomini e donne in armi impegnati in operazioni militari nel mondo. Non importa siano missioni di pace o meno, non conta come vengono considerate. Il dato secco è che sono dove si combatte, a rotazione. Questo costa alla comunità, cioè al bilancio dello stato, almeno 2 miliardi di euro ogni anno, per stipendi, rifornimenti, forniture militari. Difficile a questo punto sostenere che l'Italia non è in guerra. Lo è, perché ha scelto di esserci, di partecipare direttamente, con uomini, mezzi e risorse.

Se così è, per l’Italia, come per gli altri Paesi dell’Unione Europea e del Mondo, quella lista di undici nomi scompare. Annega nella realtà di un Pianeta che, con 36 guerre in corso e scontri diffusi, vive ancora troppo lontano dalla Pace. di Raffaele Crocco

 

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