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La legge in parlamento. Il caso Noa «obbliga» l'Italia a scegliere

Redazione Avvenire
Pubblicato il 06-06-2019

Il Parlamento italiano conclude le audizioni per la nuova legge sui casi estremi

Da martedì, un filo nero lega l’Olanda all’Italia. Mentre Noa, 17enne affetta da una gravissima depressione, moriva a casa propria ma con un medico ad assisterla, le Commissioni riunite Giustizia e Affari sociali di Montecitorio stavano ascoltando gli ultimi esperti in vista di una nuova legge sul fine vita.

O meglio: di una modifica alle norme esistenti, in modo da poter evitare i rigori del Codice penale – in una ristretta rosa di casi – a chi aiuta un malato grave ad anticipare la propria fine. E se sono questi i limiti del mandato rivolto dalla Consulta al Parlamento con l’ordinanza 207 sul processo Cappato-dj Fabo, le forze politiche e culturali a sostegno della 'morte a richiesta' stanno tentando di allargarne ulteriormente le maglie.

Intanto ieri il Papa spiegava in un tweet che «l’eutanasia e il suicidio assistito sono una sconfitta per tutti. La risposta a cui siamo chiamati è non abbandonare mai chi soffre, non arrendersi, ma prendersi cura e amare per ridare la speranza». La fine di Noa interroga, obbliga a schierarsi, a scegliere: «Inizi in un modo, per risolvere alcuni casi pietosi, e poi finisci che allarghi sempre più le maglie. Quanto successo alla povera ragazza olandese è emblematico – dice Antonio Palmieri, deputato di Forza Italia –. Quello in corso è un derby tra fautori della sofferenza contro compassionevoli. In gioco è la tutela del più debole, cioè evitare che le vite dei più fragili siano scartate».

Dobbiamo compiere «una scelta solidaristica », rilancia Maria Teresa Bellucci, capogruppo di Fratelli d’Italia in Commissione Affari sociali e sanità. Quello alla vita è «un diritto inviolabile, indisponibile», che «non può essere sacrificato dall’autodeterminazione ».

Bellucci sottolinea un dato emerso dalle audizioni: la legge 38/2010 sulle cure palliative ancora non è applicata come dovrebbe. E «se lo fosse – argomenta – già questa sarebbe una risposta importantissima alla sofferenza». Ma allora, «può dirsi veramente libera una persona che sceglie la morte perché lo Stato non è in grado di farla vivere dignitosamente?». La risposta, negativa, sembra venire dalla stessa ordinanza della Corte costituzionale, che subordina l’accesso a suicidio assistito ed eutanasia all’inserimento del paziente in un percorso di cure palliative.

D’altronde, anche per la vicenda di Noa sono in molti a chiedersi se non si potesse fare altro per scongiurarne il triste epilogo. Un disagio che potrebbe pesare sul dibattito parlamentare, tanto che il radicale Marco Cappato ieri ha voluto precisare che le proposte di legge in discussione «prevedono la possibilità di accesso al percorso eutanasico solo per le persone maggiorenni e portatrici di malattie fisiche terminali o inguaribili».

Come a dire: niente casi simili in Italia. Ma non è così. È lui stesso, nel breve comunicato, ad affermare che «Noa aveva interrotto nutrizione e idratazione, possibilità contemplata anche in Italia». Un principio rafforzato dalla legge sul biotestamento, la 219/2017, che dunque, a sentire Cappato, avrebbe posto le premesse perché anche il nostro Paese possa vivere drammi come quello olandese. Convinta invece che la morte di Noa nulla c’entri con il dibattito in corso è invece Rossana Boldi (Lega), vicepresidente della Commissione giustizia («Non conosciamo bene i termini del problema»), il cui partito sembra creare nei fatti una maggioranza trasversale con il Pd: sia lei sia Alfredo Bazoli, capogruppo dem in Commissione giustizia, ritengono infatti che la norma richiesta dalla Consulta debba limitarsi a escludere dal reato di aiuto nel suicidio – oggi punito dall’articolo 580 del Codice penale – chi acconsente alle richieste di morte provenienti da un malato grave e irreversibile (secondo Bazoli, «la via per arrivare in tempi brevi a un testo largamente condiviso»). Ma quali possano essere queste situazioni specifiche ancora non è dato sapere.

Palmieri osserva che «non si fa una legge per un caso singolo, la norma deve essere per sua natura generale e astratta», e invita «parlamentari e opinione pubblica» a non cadere in questa «trappola emotiva».

Una posizione non troppo distante da quella di Boldi, convinta che «in queste materie meno si legifera meglio è». Un dato è certo: i partiti non riescono a far sintesi tra le varie posizioni. Ieri, il comitato ristretto che avrebbe dovuto far confluire in un unico testo le quattro proposte di legge depositate alla Camera si è concluso con un nulla di fatto.

E la presidente della Commissione giustizia, Francesca Businarolo (M5s), non ha voluto esplicitare la posizione del Movimento (che, per la verità, è padre della quarta proposta di legge, fortemente eutanasica). «Personalmente – aveva dichiarato martedì la deputata grillina – valuterei in modo positivo la scelta di un voto secondo coscienza». Tutto rimandato a settimana prossima, con l’incarico al relatore – Roberto Turri (Lega) – di favorire una mediazione tra i capigruppo. Col proposito di arrivare in aula per il 24 giugno.

Marcello Palmieri - Avvenire

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